Bitcoin e ambiente: un equilibrio tutto da rivedere
Diversi studi evidenziano come la produzione delle criptovalute non sia gratuita, se non altro per il grande consumo di energia che richiede e la conseguente impronta di carbonio che lascia dietro di sé. Per non parlare del crescente problema dei rifiuti elettronici. Una questione aperta che non va taciuta
Ci sono solo due modi per guadagnare con le criptovalute: comprandole a basso prezzo e rivendendole a un prezzo superiore, oppure generandole (in gergo, estraendole). Il “mining” di criptovalute consiste nel mettere il proprio computer al lavoro per risolvere automaticamente dei calcoli complicatissimi al fine di verificare la validità delle transazioni ed evitare che la stessa moneta sia spesa due volte. Per questo lavoro i “miners” ottengono delle commissioni e una parte delle monete appena coniate.
Come è immaginabile, questo procedimento comporta il consumo di grandi quantità di elettricità H24, elettricità che spesso viene prodotta bruciando combustibili fossili, emettendo anidride carbonica e altri gas serra che stanno riscaldando il pianeta. In particolare, un rapporto (Revisiting Bitcoin’s Carbon Footprint), condotto da studiosi di clima ed economia in tutta Europa e ripreso dal Guardian, ha evidenziato che «l’estrazione di Bitcoin potrebbe essere responsabile di 65,4 megatonnellate di CO2 all’anno, paragonabile alle emissioni a livello nazionale prodotte in Grecia nel 2019 (56,6 megatonnellate)».
Una maniera per ridurre l’attuale impronta di carbonio delle criptovalute, sarebbe attingere a energia pulita o cambiare il codice informatico e la modalità di produzione delle valute digitali con uno nuovo, meno energivoro e che non richieda l’attuale velocità necessaria nel processo di produzione delle monete. Un cambiamento non da poco su cui gli attivisti ambientali, in particolare Greenpeace Usa, sta cercando di sensibilizzare tutti gli attori in gioco per conseguire una grande vittoria per Bitcoin, per il clima e per la comunità.
Oltre al consumo di energia, c’è un’altra fonte di inquinamento meno evidente, quella del crescente problema dei rifiuti elettronici di Bitcoin: secondo uno studio pubblicato l’anno scorso su Resources, Conservation and Recycling, le apparecchiature di mining diventano antieconomiche dopo circa 1,3 anni. Pochissimo. L’obsolescenza delle apparecchiature informatiche utilizzate per creare criptovalute è dunque un altro tema – enorme – con cui fare i conti.
Questi lati oscuri sono quindi punti chiave da sviluppare affinché questa tecnologia, che si è presentata come game changer nel futuro del mondo, sia effettivamente tale.