Big Three – parte II
Da sempre, la pallacanestro e la cultura Hip Hop c’è grande affinità, probabilmente perché entrambe hanno un forte legame con la comunità afroamericana. Qualche tempo fa, mentre leggevo un articolo dedicato a Duncan, Ginobili e Parker per aver vinto il maggior numero di partite durante la stagione regolare -nessuno ha fatto meglio di loro da quando esiste l’NBA– mi sono chiesto: questo traguardo li rende i Big Three più forti di sempre?
Chiaramente non esiste una risposta assoluta, perché gli elementi da considerare sono troppi, e non sono gli stessi per tutti: c’è chi potrebbe tirare in ballo le statistiche, chi l’epoca, chi il talento singolo di ogni individuo e così via. Lo stesso discorso si può fare anche con la musica? Certo che sì. Anche per il rap nostrano? Ovviamente, i candidati non mancano.
Legendary Lyricalz Punchlinerz
Bene in trio, ma anche in solitaria
Andiamo a Torino dove troviamo i Onemic, roster composto da Ensi, Raige e Rayden.
Ensi è forse il freestyler più forte di sempre: ha vinto ogni competizione di freestyle, il che lo rende il più titolato di questa disciplina. Disinvolto sul palco, a suo agio davanti al microfono, lui è l’emcee per definizione.
Il fratello Raige -stesso cognome, stessi genitori, non fratello come dite voi giovani per indicare un vostro amico stretto eh- è una delle penne più poetiche che il rap italiano abbia mai partorito. Esagero? Ascoltate “Tora Ki”, poi possiamo riparlarne.
Rayden è un po’ una via di mezzo tra i due fratelli Vella, ovvero bravo nell’improvvisazione -vanta un secondo posto alla finale del Tecniche Perfette 2004 ed un terzo posto al terzo round del 2theBeat 2006– e possiede un’ottima scrittura, oltre ad essere anche un discreto producer, e “In Ogni Dove” è il banco di prova in cui l’artista di Villadora ha messo alla luce questi suoi due aspetti.
Studio album all’attivo solamente due per il gruppo torinese: “Sotto la cintura”, disco d’esordio dove troviamo dei giovanissimi Onemic –correva l’anno 2005- che rivoluzionano il concetto di punchline, e “Commerciale”, album che già dal titolo fa presagire l’attitudine intrapresa. Senza mezzi termini, “Commerciale” è un disco in cui il trio ha tentato l’all-in abbracciando sonorità prevalentemente pop e radiofoniche, senza raccogliere però meriti e riconoscimenti, continuando a far bene -musicalmente parlando- anche quando le loro strade si sono separate, come Paul Pierce, Kevin Garnett e Ray Allen.
Just one? It’s enough
Eredità inestimabile. Una dinastia
Adesso entriamo in quella speciale categoria dei Big Three del rap italiano che hanno -purtroppo- all’attivo solamente un disco solo.
Quando si parla dei dischi più importanti nella storia del rap italiano, ce n’è uno che viene sempre nominato: “SxM” dei Sangue Misto. E non è un caso. Chiedete al vostro rapper preferito la sua classifica personale dei dischi italiani che più l’hanno influenzato, e vedrete che “SxM” non solo comparirà, ma spesso e volentieri sarà sul podio.
Saranno state le strumentali, saranno stati i testi, ma i Sangue Misto hanno cambiato radicalmente il concetto di rap qui da noi, lasciandoci in eredità un disco che tuttora suona innovativo.
Beh, in fin dei conti stiamo parlando di un gruppo composto da Deda, Neffa e Dj Gruff. Questi tre sono senza dubbio gli esponenti più riconoscibili della Old School, e nel tempo ci hanno regalato “Neffa e i messaggeri della Dopa”, “107 elementi” e “Zero stress”.
Per il materiale -inestimabile- che ci hanno lasciato, creando una dinastia, direi che loro sono senza dubbio i nostri Magic Johnson, James Worthy e Kareem Abdul-Jabbar dell’era Showtime.
Manifesta superiorità. Più unici che rari
Rimanendo in tema “dischi all’attivo? Uno solo”, come non parlare di “Merda e Melma” primo ed unico lavoro del progetto Melma e Merda. Ma facciamo un passo indietro, perché qui si dà per scontato che tutti voi sappiate chi sono Melma e Merda, ma se realmente fosse così vivremmo in un mondo in cui non è Moreno ad avere più di mezzo milione di fans su Facebook, ma ce li avrebbero loro, e invece questi non hanno nemmeno la pagina fan: #struggle #thuglife.
Per chi non lo sapesse comunque, Melma e Merda sono Kaos, Deda e Sean: se ci fosse stato Neffa al posto del rapper sudafricano a quest’ora staremmo -cestisticamente- parlando di Dream Team. Tutto meritato, non si sta ingigantendo nulla, perché stiamo parlando di Kaos e Deda nel loro prime, ovvero nel periodo migliore della loro carriera, di un disco realizzato in dieci giorni dall’ideazione e che ha avuto un impatto singolare all’interno del panorama italiano. Un evento che non ha precedenti.
A rendere Melma e Merda tanto speciale è proprio l’irripetibilità di questo progetto, più unico che raro, perché quando mai ricapiterà che due dei dieci emcee’s più forti della scena di quell’epoca si rinchiudano in studio per una decina giorni per partorire un lavoro di questo calibro? Manifesta superiorità, nessun altro è stato capace a fare di meglio in quel periodo, esattamente come Michael Jordan, Scottie Pippen e Dennis Rodman.
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