Best USA Album 2014: La top 5 dei migliori dischi americani dell'anno
C’è chi ha definito il 2014 un anno spento e incolore per l’Hip Hop, senza grandi colpi di scena almeno a livello musicale. Noi di Myhiphop.it qualcosa di bello l’abbiamo trovato e in questa Top 5 vi riproponiamo il vibe che ha elettrizzato il 2014, attraverso i 5 migliori dischi del rap d’oltreoceano. Prima di entrare nella classifica vera e propria è giusto però dare spazio a 3 promesse, tre giovani rappers che hanno colpito il panorama americano (e non solo) con i loro esordi ufficiali.
Isaiah Rashad – (Cilvia Demo)
La TDE si rivela ancora una volta una miniera d’oro piena di talenti. Isaiah Rashad, pescato tra l’altro nel nulla di Chattanooga (Tennesse), è l’ennesima conferma dell’investimento su un suono nuovo e artisticamente più moderno che l’etichetta indipendente californiana ha deciso di fare. “Cilvia Demo” è un disco molto conscious, in cui Isaiah cerca di settare uno standard qualitativo elevato – riuscendoci il più delle volte. “R.I.P. Kevin Miller”, “Soliloquy” e “Shot You Down” – con Jay Rock & Schoolboy Q sono gli esempi più evidenti dei fattori positivi di un Rashad rapper che, pur somigliando troppo a Kendrick, riesce comunque ad essere uno dei nuovi spunti più interessanti del’anno.
Logic – (Under Pressure)
Sicuramente uno dei debutti in major più inattesi e al tempo stesso notevoli del 2014. Un disco che si può lasciar correre senza sentire la necessità di skippare alcuni brani. Nelle bellissime “I’m Gone”, “Soul Foo D” e “Till the End” Logic racconta la sua storia e le sue esperienze personali in una sorta di concept alla “started from the bottom, now we here”. Flow intrigante e sicuro, anche se presenta la pecca di evidenziare troppo le influenze del ragazzo (Kendrick, Kanye, Big Sean). Talento sicuro, ma in ottica futura serve la ricerca di maggiore originalità.
Vince Staples – (Hell Can Wait)
Super. Solo 21 anni per un Vince Staples che al microfono ha la freddezza del veterano. “Hell Can Wait” sarà anche un debutto cupo ed esasperato, ma il voto in street credibility è un 10 pieno. Tematiche reali, pezzi di protesta sull’eccessiva forza usata dai corpi LAPD e rime che narrano di bambini senza cibo e di disoccupazione. Dopo parecchi mixtapes la quadratura è stata trovata, “Hell Can Wait” è un disco che ricorda i deboli equilibri della vita. Il salto in Def Jam di Staples la dice ancor più lunga delle nostre parole. Ne sentiremo parlare.
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Pronti, via! Ecco allora la top 5 dei migliori dischi americani del 2014, selezionati per voi da Myhiphop.it!
5) Bishop Nehru & MF Doom – NEHRUVIANDOOM
Era da poco iniziato gennaio quando Bishop Nehru, classe 1996 (!) promessa del rap newyorkese e contratto firmato con Mass Appeal di NAS, pietrificò tutti in un’intervista: “Il disco si chiamerà NEHRUVIANDOOM. Praticamente DOOM pensa alle strumentali e io ci rappo sopra, anche se in realtà comparirà anche qualche sua strofa. Non ci sono featuring esterni, in sostanza siamo solo io e lui”. Otto mesi dopo ecco che esce NEHRUVIANDOOM, Un disco breve, ma di alta (altissima) qualità. In tutto il progetto il “ragazzino” Nehru dimostra una maturità metrica eccezionale che unita ad una delivery accattivante fa solamente risplendere ancora di più i contorni dorati del disco. “Caskets”, “Great Things”, “Coming for You”, l’introspettiva “So Alone” dalle grandiose batterie o ancora “Disastrous” in cui Bishop e il Supervillain si passano il microfono sono assolute gemme. NEHRUVIANDOOM è stato uno dei dischi più attesi del 2014 e giustamente, non ha tradito le attese.
ASCOLTA: NEHRUVIANDOOM – Bishop Nehru & MF DOOM
4) Ghostface Killah – 36 Seasons
Ghostface Killah è veramente unstoppable. Partendo dall’uscita di “Iron Man” nel 1996, con la recente pubblicazione di “36 Seasons” Ghostdeini ha toccato la quota impressionate di 11 album in 18 anni. Il concept del precedente “Twelve Reasons To Die” narrava la storia di un affiliato ad una famiglia mafiosa italiana, Tony Stark, che tradito e ucciso dopo una ribellione resusciterà come Ghostface Killah e otterrà la sua vendetta nei confronti della famiglia De Luca. “36 Seasons” riprende cronologicamente e tematicamente lo stesso concept e racconta del ritorno a Staten Island di Tony Stark dopo 9 anni (36 stagioni, appunto) di carcere. Ancora un lavoro pazzesco, in cui Ghostface e i veterani intramontabili presenti (tra cui AZ, Kool G Rap e Pharoahe Monch) vocalmente suonano esattamente come 20 anni fa, tanto che le produzioni (anche se trattate magistralmente dal team The Revelations) faticano a tenere il passo del dinamismo lirico di Ghost e ospiti. “36 Seasons” non sarà il lavoro migliore in assoluto di Ghostface Killah, ma per elaborazione, presenza e costanza è una vera gioia.
ASCOLTA: “36 Seasons” – Ghostface Killah
3)J Cole – 2014 Forest Hills Drive
J Cole è tornato. Dopo il passo falso commesso con “Born Sinner”, l’annuncio di 2014 Forest Hills Drive è arrivato dal nulla. Grande sorpresa e promotion inesistente, ma già dal primo ascolto ci si rende conto facilmente dell’organicità pazzesca del disco. Un album completo per sonorità e personalissimo per contenuti, che non punta al trionfo di nessun singolo in particolare ma sulla solidità del progetto. Bello e piacevole dall’inizio alla fine, un viaggio che passa dalla prima volta di Cole in “Wet Dreamz”, alla polemica tra Hip Hop “nero” e “bianco” a causa delle rime al veleno di “Fire Squad”. Produzioni deliziose (sempre firmate Cole) e rap eccellente. Con “2014 Forest Hills Drive” J Cole ha finalmente ri-ottenuto l’attenzione guadagnata con il mirabolante “Cole World: The Sideline Story”, tanto che quest’ultimo nuovo disco sembra quasi a suo agio sulla mensola dei classics.
ASCOLTA: “2014 Forest Hills Drive” – J. Cole
2) Run the Jewels 2
E’ come se 1984 di Orwell avesse una colonna sonora (cit.)
Un mix bollente ed elettrizzante. Se il primo capitolo di RTJ è stato cupo e quasi gotico (ma devastante, capiamoci), RTJ2 è un frullato hardcore imbevuto delle più ciniche confessioni di Killer Mike e della strabiliante completezza sonora di El-P alle macchine. Il sound rinnovato che pesca moltissimo nell’underground newyorkese è sicuramente una delle travi portanti su cui poggia la struttura coesa e solida di RTJ2: le chitarre punkeggianti di “Jeopardy”, i synth caotici di “Oh My Darling Don’t Cry” fino alla brutalità di “Blockbuster Night Part 1”. L’intensità non diminuisce mai in un disco violento, che sfuma nella protesta politica e non presenta mai censure, anzi. Il futuro dell’Hip Hop è in buonissime mani finché durerà la collaborazione tra i Jewels.
ASCOLTA: RUN THE JEWELS 2
1) Freddie Gibbs & Madlib – Piñata
Sulla sinistra abbiamo Freddie Gibbs, di Gary (Indiana) e gangsta rapper anche alle analisi del sangue, sulla destra Madlib, fenomenale producer californiano che tanto ama le sfumature psycho-funk e che ha collaborato con J Dilla e MF Doom. Sulla carta, chiaro a tutti, sono una coppia difficile. I due decidono però di buttare fuori un paio di EP clamorosi, polverizzando ogni dubbio. “Questi devono fare un LP cazzo!” è l’opinione che si diffonde a gran voce in tutto il mondo. Il Dio dell’Hip Hop vede e provvede ed ecco che in “Piñata” le strofe machine gun di Gibbs assumono il colore della bellezza pura sulle produzioni ammalianti di Madlib. Niente stronzate, Pinata è quasi intoccabile. Perfetto. Un tour da ascoltare e riascoltare, in cui strofe e sound sono assolutamente complementari. “Thuggin”, “Scarface” e “Harold’s” potrebbero far parte delle migliori soundtrack di mega film, poi ti accorgi di “Shame”, “Deep” e “Broken” e ti domandi se la seconda parte non sia anche meglio della prima. L’unico album della classifica che non fa parte delle uscite nella seconda parte del 2014. Qui lo si ascolta da marzo senza sosta e solo una risposta è certa: disco dell’anno.
ASCOLTA: “Piñata” – Freddie Gibbs & Madlib
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A cura di: Mattia Polimeni