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Babaman: “La ganja come cura per la nazione”

In occasione dell’uscita del nuovo album “Veteran” dell’uragano del reggae italiano, abbiamo fatto una bella chiacchierata con Babaman che ci ha svelato un segreto che non aveva mai raccontato a nessuno

Babaman: "La ganja come cura per la nazione"
L’uragano Babaman si abbatte sul Belpaese con una raffica di rime in levare contenute nel suo ultimo lavoro, “Veteranda poco pubblicato. E’ stata l’occasione per intervistarlo, farci raccontare come sta e celebrare la carriera di questo artista atipico al quale vogliamo bene, che resta indipendente ma con numeri enormi e che da 30 anni, fedele a se stesso e ai suoi principi, ci regala ottima musica e spunti per riflettere.

BABAMAN SI RACCONTA A DOLCE VITA

Come stai? Come stai vivendo la tua quotidianità tra pandemia, guerra, crisi energetica e altre ottimistiche previsioni?
Non sono belle notizie e sicuramente non è un buon momento dal punto di vista economico e politico. Detto questo io cerco sempre di farmi scivolare addosso queste cose e continuare la mia vita in maniera serena e fare sempre e comunque del mio meglio da quanto mi sveglio il mattino.

Di recente c’è stata la proposta di legge sui rave, i free party, e mi è venuto in mente che Rave è stato uno dei tuoi primi tag, è vero?
Sì, lo usavo come sinonimo di “delirio” quando dipingevo ed erano le 4 lettere che usavo nella mia tag e nei throw up che facevo.

Il passaggio successivo è che di solito sono i regimi o i Talebani a vietare la musica, non le tanto decantate democrazie…
Sì, ti confesso che già da tanti anni non sto più ad ascoltare queste voci, intendo i politici, chi ci governa e chi li comanda, perché ho la mia personale convinzione, che può essere sbagliata e discutibile, ma è ciò che penso. Ci sono persone, quelle che davvero governano il mondo, che stanno sopra alla politica. Purtroppo io penso che il potere di fare determinate scelte, spesso quelle più incisive, non è nelle mani dei cittadini, è solo un’illusione. Si possono fare raccolte democratiche di milioni di firme che non portano a nulla e poi invece, senza che nessuno voti, si fanno cose come inviare soldati e armi. Come dico nel disco al massimo ci fanno scegliere il colore della gabbia, e solo uno stupido può sceglierla pensando di essere libero.

Tornando al discorso della raccolta firme ne abbiamo avuto un esempio con il tentativo di fare il referendum per l’autoproduzione di cannabis.
Sì, ho aderito alla campagna e ho partecipato alla manifestazione. Ho anche parlato con i promotori di Meglio legale e ho detto loro le stesse cose che sto dicendo a te. Per quante firme si possano raccogliere ci saranno sempre dei politici che tenteranno di prendere i propri vantaggi e quando ci sarà da abbandonare la nave lo faranno: non credo che ci possa essere una legalizzazione della cannabis grazie alla firme, diciamo così, in maniera democratica. Mentre invece nel momento in cui chi muove i fili deciderà che il momento è arrivato, senza nessun referendum, la cannabis verrà legalizzata.

A proposito di abbandonare la nave quando affonda, tu sei l’esempio opposto. Una carriera decennale nella quale sei riuscito a rimanere indipendente in un mercato della musica sempre più complesso e aggressivo e fedele a te stesso e ai tuoi principi, che credo sia la cosa più importante.
Babaman: "La ganja come cura per la nazione"Parlavo con alcuni amici proprio in questi giorni e novembre è l’anniversario di quando ho scritto il mio primo testo: sono passati 30 anni. Comunque sì, l’essere rimasto fedele ai miei principi è la cosa più importante, almeno per me. Se ci guardiamo intorno è pieno di gente che se li è venduti. Forse sono un po’ matto, un po’ kamikaze visto che faccio reggae da una vita, ma quello che faccio è esattamente quello che volevo fare e quello che rappresento è esattamente quello che volevo rappresentare, non è un caso se ho fatto determinati dischi, canzoni e carriera. Ho fatto delle scelte che mi sono costate, ma il mio sogno non era certo quello di diventare ricco e famoso. Il mio sogno è sempre stato essere uno dei più bravi nel mio Paese nel reggae e vedendo le reazioni delle persone che mi seguono, mi basta questo. Mi ritengo una persona molto fortunata, vivo in maniera serena, non sono alla ricerca di altro, faccio musica come mi piace e se ho delle cose da dire cerco il modo più intelligente per dirlo e comunicarlo.

E’ uscito il disco nuovo e nella clip che hai rilasciato per prensentarlo dici che tu non hai mai avuto una meta, che la meta è sempre stata godersi il viaggio e stare nel presente, che è un po’ il succo delle culture orientali che esortano a cercare di vivere il momento presente.
Già, il presente, che è un regalo, lo dice la parola stessa. E’ assolutamente così: mi basta pensare quando ho iniziato a fare le cose e come continuo a farle. Io quando finisco di scrivere un testo, lo canto, e mentre lo canto sono come un motocilista che gira con la sua moto preferita e si sta divertendo un sacco. Nel momento in cui lui scende dalla moto, è finito. Per me è una cosa che mi dà appagamento mentre la faccio e il bisogno di farlo nasce da lì. Molti giovani di oggi non mi chiedono pareri o consigli tecnici, ma mi chiedono come si fa a sfondare, chi devono pagare. Io sinceramente a questa cosa non ci ho mai nemmeno pensato, pensavo solo a spaccare, a fare il meglio e a divertirmi. Continuo a fare così perché penso che sia la ricetta giusta.

Forse è anche dovuto dal fatto che fino alla fine degli anni ’90 il rap e il reggae in Italia erano state culture di nicchia e quindi c’era passione e entusiasmo e non ci si facevano domande sul futuro. Oggi il rapper per i giovani ha probabilmente sostituito nell’immaginario il calciatore: significa avere un sacco di soldi ed essere arrivati.
Sì però questo è il pensiero di chi non è un artista. Se capisci l’arte sai che è un qualcosa di molto più profondo e c’è una grossa differenza tra trattare l’arte come una prostituta o come la donna che ami. C’è differenza tra un artista e chi si occupa di fare business con la musica.

Intanto è uscito il disco nuovo, “Veteran” a 4 anni dal precedente durante i quali hai comunque continuato a fare uscire singoli e a suonare in giro. La prima cosa che ho notato è che hai scelto di non fare featuring, perché?
Avevo tante cose da dire, e quindi nelle 12 tracce ci sono tanti contenuti importanti. Io collaborerei con diversi miei colleghi, ma metterli nel mio album sarebbe stato diverso, perché la cosa deve funzionare, gli deve calzare. Forse perché è un lavoro personale e ha una dimensione sua, che va ascoltato con attenzione.

Possibilmente senza “skippare” le canzoni ogni 20 secondi come si fa oggi, giusto?
A mio parere sì, anche perché, essendo pieno di contenuti, spesso nella seconda strofa si trovano cose belle. Poi la persona che skippa secondo me non è fatta tanto per ascoltare i miei dischi o il reggae più in generale.

Babaman: "La ganja come cura per la nazione"
Babaman durante il tour nei Cannabis Social Club, qui da Aranua Club a Barcellona

Forse è un approccio dato anche dalla fruizione della musica di oggi, no?
Certamente, e poi oggi viviamo in un sistema usa e getta, le cose devono dare frutti subito e poi se passano non importa. Questo porta ad avere una bassissima qualità, non solo nella musica, ma anche nel cinema o ad esempio nella comicità. Io penso che ci sia un’energia in un’opera che uno crea, e le persone la percepiscono, che sia una scultura, una canzone o anche in cucina. Non c’è bisogno di essere musicisti, basta amare la musica per cpaire se uno è un paraculo che vuole fare solo soldi, invece di uno che fa musica che ama.

A proposito d’amore il disco si apre con una canzone d’amore, che però è dedicata all’erba.
Sì, si chiama “Di te non mi stancherei mai” ed è un pezzo più profondo di quello che si potrebbe pensare. Non è il solito pezzo divertente sull’erba. Ci tenevo a dire che la cannabis per molte popolazioni, ancora oggi, è uno dei principali mezzi di sussistenza per l’agricoltura, l’artigianato e la medicina. Ed è un aspetto molto sottovalutato. Io ho follower sparsi per il mondo che vivono grazie alla pianta di cannabis, utilizzandola in varie forme, come l’uso alimentare di semi e derivati.

E a un certo punto la definisci come possibile cura per la nazione…
Certo, perché, non lo dico io ma i numeri di chi ha legalizzato la cannabis e voi che ci informate su queste cose, ha portato enormi introiti economici utilizzati per il sociale e per le persone, ha creato centinaia di migliaia di posti di lavoro e insomma, ha portato solo bene.

Nella canzone d’apertura la definisci pianta sacra e volevo chiederti di spiegare perché a chi è digiuno di cultura Rastafari.
Per i Rasta la cannabis è un sacramento. Non è vero che sia obbligatorio fumare come si sente spesso dire in giro, è assolutamente facoltativo. E’ un tratto culturale e non un dogma. E’ una pianta sacra che si può usare esattamente come il popolo di Israele ai tempi che furono usava incensi di vari tipi nella tenda delle preghiere.  Per me è giusto farne un uso appropriato, un Rasta non è sicuramente per l’abuso di erba, ma per un consumo consapevole, connesso magari a preghiera e meditazione. Io la assaporo, la uso per meditare e rilassarmi, mi piace il suo gusto nei differenti strain, ma non sono uno di quelli che la usa per “sballarsi” e la mette sullo stesso piano di altre sostanze.

Potremo venire ad ascoltare il disco a qualche concerto? Stai già suonando in giro, stai pianificando anche i prossimi tour?
Abbiamo fatto le prime 11 date del tour per l’estate e poi quest’anno ho iniziato a fare il tour dei cannabis club spagnoli. Ora dovrei riprendere il tour invernale sia in Italia che in Spagna. Pubblicherò tutto sui miei canali social, quindi seguitemi lì.

In Spagna continuerai a suonare nei club?
Sì, mi piace l’idea di supportare la famiglia cannabica, ci sono tanti fratelli che sono andati là a rischiare e quindi mi piace molto avere questa possibilità.

In chiusura raccontaci una cosa che non hai mai detto a nessuno.
In questi giorni è morto Holer Togni, lo stuntman, che era il mio mito da quando ero piccolo. Il mio sogno è sempre stato fare musica ma in realtà, e non lo sa nessuno, quando ero ancora più piccolo il mio vero sogno era fare quel lavoro: impennare con le moto, andare su due ruote con il camion, entrare con la macchina nel cerchio di fuoco. Mi è tornata in mente la mia infanzia. Per fortuna che non l’ho fatto perché mi sarei fatto molto più male di quello che comunque mi sono già fatto con lo skate o la bmx.

Ma soprattutto noi ci saremmo persi tonnellate di ottima musica…
Eh ma magari mi avresti visto su due ruote col camion, che ne sai? Però, effettivamente, meglio così!

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