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Autoproduzione di cannabis: cosa succede in Europa?

Autoprodurre cannabis non significa solo seguire la nascita e l’evoluzione della propria pianta fino al raccolto, tenendo sotto controllo i vari parametri e ottenendo tutti i benefici che porta il prendersi cura di un vegetale, è una scelta dalla forte valenza politica che, oltre rispettare un sacrosanto diritto, può essere la chiave per ridurre il mercato nero, monopolio di mafia e criminalità

Autoproduzione di cannabis: cosa succede in Europa?Prendersi cura di una pianta è un po’ come prendersi cura di se stessi: è un’attività che fa bene e gli aspetti positivi vanno al di là di quelli che si potrebbero immaginare.

Recenti studi scientifici hanno dimostrato che occuparsi del verde aiuta a contrastare lo stress e l’ansia, a migliorare l’umore e incoraggiare la socializzazione.

Anche il solo dedicarsi a una piantina, ci fa stare bene. Ancor di più se pensiamo alla cannabis, che in genere viene coltivata per poi goderne i frutti nei vari modi possibili Questo perché concentrare la propria attenzione sul giardinaggio può aiutare a ridurre i pensieri e i sentimenti negativi, è un ottimo modo per concentrarsi sulle piccole cose ed interrompere per un momento la frenetica routine quotidiana e può essere un buon promemoria per ricordarci che è importante prendersi cura di sé stessi sempre. Senza dimenticare i risvolti pratici visto che una recente ricerca giapponese dimostra come il prendersi cura di una pianta in ufficio aiuti a ridurre notevolmente lo stress abbassando significativamente la frequenza cardiaca.

Quindi anche il solo dedicarsi a una piantina, ci fa stare bene. Ancor di più se pensiamo alla cannabis, che in genere viene coltivata per poi goderne i frutti nei vari modi possibili, e vedendosi insomma restituire l’affetto e le parole gentili donate durante la fase di crescita e fioritura in forma di cime grasse e resinose, ricche di aromi, fragranze e principi attivi. 

Il problema, in Italia così come in tanti altri Paesi nel mondo, è la legge proibizionista che impedisce di coltivare per sé anche una semplice piantina. Ecco perché spesso l’atto di coltivare cannabis viene associato ad una vera e propria disobbedienza civile. 

Nonostante negli anni abbiamo assistito a tante assoluzioni di grower portati in tribunale per aver coltivato cannabis, alcune che insistevano sul diritto di cura di un paziente, e altre perché inquadrano l’autoproduzione nell’ambito del consumo personale, coltivare anche una singola pianta di cannabis con alti livelli di THC in Italia resta un reato, anche se per fortuna le cose in Europa iniziano a cambiare.

Autoproduzione a Malta, l’argine è rotto anche in Europa

Autoproduzione di cannabis: cosa succede in Europa?Il primo Paese europeo a rompere l’argine del proibizionismo per quanto riguarda la coltivazione domestica di cannabis e il suo consumo è stato Malta, il più piccolo dell’Unione europea. Noi di Dolce Vita avevamo salutato questa legalizzazione paragonandola alla leggenda di Davide che, contro ogni previsione, abbatte il gigante Golia.

Nonostante la tolleranza olandese abbia consentito la nascita dei coffee shop, e il vuoto legislativo spagnolo quella dei Cannabis Social Club, Malta è stato il primo Paese a concedere ai propri cittadini adulti il diritto di poter coltivare una pianta di cannabis in modo completamente legale. Un cambiamento epocale, che, anche se per ora non prevede la creazione di un vero e proprio mercato regolamentato con licenze per i produttori e dispensari, rappresenta un enorme passo avanti. 

Certo, il processo non è stato e non è tutt’ora esente da problemi, visto che ad esempio la legge prevedeva la possibilità per i cittadini di creare associazioni cannabiche, simili ai CSC spagnoli anche se con qualche differenza, ma le regole stringenti che erano state poste impedivano di fatto che ne potesse nascere una.

Ora le regole sono state aggiornate snellendo la procedura e cambiando i regolamenti per la gestione dei rifiuti e quelli dei test sulla qualità dei prodotti e quindi le prime associazioni, che comunque potranno essere frequentate solo da cittadini maltesi, dovrebbero vedere la luce entro la primavera del 2024.

Il Lussemburgo segue a ruota

La fuga in avanti di Malta ha visto di recente l’affiancamento del Lussemburgo che, dopo le discussioni sulla legalizzazione della cannabis a livello governativo che sono durate anni senza concretizzarsi, ha intanto raggiunto questo importante risultato. Il Lussemburgo infatti, altro Paese di piccole dimensioni che però ospita a Bruxelles il cuore delle istituzioni europee, è stato il secondo Paese a rendere legale la coltivazione domestica. 

La legge, da poco diventata operativa, prevede infatti la possibilità di coltivare fino a 4 piante nella propria abitazione, a patto che non siano visibili dall’esterno. Il consumo in pubblico resta vietato, e anche il possesso: fino a 3 grammi è prevista una multa compresa tra i 250 e i 500 euro, con più di 3 grammi si rischia una multa da 251 a 2500 euro oltre a una pena detentiva da 8. giorni a 6 mesi.

«La politica sulle droghe che perseguiamo da 50 anni è stata un fallimento», ha dichiarato alla Camera dei Deputati il ministro della Giustizia Sam Tanson sottolineando il peso dell’approvazione di questa legge, che resta un primo passo verso una legalizzazione completa. «Il secondo passo è sviluppare le catene di produzione e vendita di cannabis controllate dallo Stato», ha infatti affermato il relatore del Comitato giudiziario, Josée Lorsché. Il prossimo passaggio sarà dunque la creazione di un mercato regolamentato con 14 punti vendita a livello nazionale e una catena produttiva sotto al controllo dello Stato.

Germania: dalla legalizzazione all’autoproduzione

Autoproduzione di cannabis: cosa succede in Europa?Il prossimo Paese in ordine di tempo dovrebbe essere la Germania, che potrebbe rendere legale l’autoproduzione di cannabis già entro la fine del 2023. Da quando si è insediata al governo la cosiddetta coalizione semaforo, costituita dal partito dei Verdi insieme ai Liberali e ai Socialdemocratici, la legalizzazione della cannabis è diventata un argomento all’ordine del giorno con due idee alla base. La prima, sostenuta da ormai diversi governi a livello globale oltre che da decine e decine di associazioni e organizzazioni, con l’Onu in prima fila, è la constatazione del fallimento della guerra alla droga, con l’invito a considerare l’argomento stupefacenti dal punto di vista sanitario e dei diritti umani, chiedendo di smetterla con la criminalizzazione dei consumatori (da qui le depenalizzazioni di tutti gli stupefacenti fortemente volute in Europa dal Portogallo e in Usa dall’Oregon) e poi da innegabili ragioni economiche. La cannabis legale infatti toglie importanti risorse alla criminalità organizzata, restituendole a stato e cittadini sotto forma di fatturati e tasse, oltre che liberare importanti risorse per le forze dell’ordine, che possono concentrarsi sui veri crimini smettendola di inseguire chi fuma le canne. 

E così il dibattitto nel Paese tedesco non si è più fermato ed è arrivato al punto decisivo: siccome implementare da subito la legalizzazione avrebbe potuto creare problemi con le leggi vigenti in Europa, in particolare rispetto alla Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, hanno deciso di implementare la riforma in due step, come avvenuto in Lussemburgo. Il primo prevede di rendere legale la coltivazione domestica di cannabis e il suo consumo per gli adulti, addirittura con l’idea di non considerare più la cannabis come stupefacente, e solo dopo inaugurare un vero e proprio mercato con produttori con licenza e dispensari sparsi sul territorio. 

La coltivazione domestica per rompere il monopolio delle mafie

Perché quello che è chiaro a chi studia l’argomento, è che dalla regolamentazione della coltivazione domestica di cannabis si ottengono solo vantaggi. La qualità del prodotto, il riportare nella legalità migliaia di persone che commettono il “crimine” di coltivare una pianta, svuotare le carceri di semplici consumatori e piccoli spacciatori e, come detto, di togliere il monopolio a mafia e criminalità.

Autoproduzione di cannabis: cosa succede in Europa?E in Italia siamo stati vicini a realizzare questo traguardo, con una proposta di legge e il referendum. L’idea era nata dall’iniziativa di Riccardo Magi che aveva proposto una legge che avrebbe reso legale l’autoproduzione di cannabis, che ha fatto tutto il percorso in Commissione giustizia, prima di arenarsi una volta iniziata la discussione alla Camera, con centinaia di emendamenti proposti dalla destra per rallentarne il percorso. La caduta del governo Draghi ha fatto il resto, chiudendo del tutto le già poche possibilità che venisse approvata. Da notare, però, che durante la discussione in Commissione giustizia, gli esperti chiamati a esprimersi su questa proposta e su quella opposta della Lega a prima firma Molinari, che avrebbe invece inasprito le pene ed eliminato il concetto di lieve entità, si sono schierati tutti per la proposta di Magi. «7 volte su 10 le forze di polizia arrestano anche nelle situazioni di lieve entità», sottolineò il generale della Finanza Antonino Maggiore. «La coltivazione domestica toglierebbe alla criminalità organizzata una fetta di mercato», sentenziò il procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho. Per concludere con la dichiarazione di Mario Perantoni, parlamentare del M4S e. presidente della commissione Giustizia, che mise l’accento sulle necessità delle persone comuni: «Non possiamo restare sordi, i cittadini meritano una risposta»

La risposta purtroppo è arrivata dopo, ma non era quella che ci si aspettava. Quando infatti è iniziato lo stallo della proposta di legge, dal mondo antipro è arrivata la proposta di un referendum per depenalizzare la coltivazione personale di cannabis. Contro ogni previsione e. con pochissimo tempo. a disposizione, aiutati dalla possibilità di raccogliere le firme digitali, la raccolta firme è un successo incredibile con 500mila firme raccolte in una settimana, che diventeranno più di 600mila prima del termine. Purtroppo, come sappiamo, il referendum è stato dichiarato inammissibile dalla Consulta, mettendo fine alle speranze di cambiamento. 

«Questa non è una sconfitta nostra e delle centinaia di migliaia di cittadini e cittadine che hanno firmato per la cannabis legale. Quella di oggi prima di tutto è una sconfitta per le Istituzioni che non sono più in grado di comprendere una parte importante di questo Paese! È il fallimento di una Corte che non riesce a garantire agli italiani un diritto costituzionale, di un Parlamento che da trent’anni non riesce a mandare in fumo gli affari delle mafie», scrissero a caldo da Meglio Legale. 

Intanto l’Europa è attraversata dal cambiamento che avevamo immaginato qui in Italia, mentre l’attuale governo di destra diffonde fake news sulla cannabis come quella del THC al 78% raccontata dalla Premier Meloni, quando i dati della Relazione annuale sulle tossicodipendenze parlano di una media del 13%. O come quella che messa in giro dal senatore Gasparri che ha sostenuto che il mercato della cannabis vale l’1%. La relazione parla chiaro: la cannabis vale il 42% del narcotraffico. E siamo sempre in tempo a dargli una spallata, immaginando un futuro per la cannabis libero dal giogo in cui la politica ha voluto costringerla. 



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