Le audizioni, Gianpaolo Grassi e la voglia di controllare la canapa vietando l’autoproduzione
Un fantasma si aggira per le audizioni sulla cannabis alla Camera. Ciclicamente si affaccia tra le parole degli esperti, soprattutto tra operatori socio-sanitari e funzionari pubblici, evidentemente inclini per forma mentis ad una visione dello stato come grande padre controllore. Stiamo parlando dell’idea che dalla proposta di legge per la legalizzazione della cannabis debba essere eliminato il diritto all’autoproduzione, sia in forma privata che associativa, consegnando solo al monopolio statale la possibilità di produrre la cannabis.
Un sunto di questo punto di vista lo abbiamo avuto durante il terzo turno di audizioni andato in scena lunedì, in particolare nell’intervento di Gianpaolo Grassi, primo ricercatore del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), l’ente di ricerca statale che ha selezionato le varietà di cannabis a uso medico attualmente in produzione a Firenze, e che nel progetto di legge proposto dall’intergruppo (Pdl 3235, art. 5, comma 5, lettera b) è anche indicato come soggetto deputato a selezionare genetiche e semi della cannabis che dovrebbe essere prodotta dallo stato a legalizzazione avvenuta.
Grassi, nel suo intervento, ha affermato che permettere l’autoproduzione sarebbe «pericoloso per i bambini e potrebbe portare a un rischio di contaminazione generalizzato» e che lo stato deve essere garante e certificatore della qualità della cannabis prodotta e consumata in Italia, in quanto se fosse permesso a tutti di produrre per il proprio consumo ci sarebbero rischi per la salute, dovuti al fatto che molte persone si metterebbero a coltivare senza averne le competenze botaniche: «sarebbe come permettere l’autoproduzione dell’alcol, vi ricordate quanti problemi di morti per metanolo abbiamo avuto in passato?» ha affermato.
Ma non solo, nella sua arringa contro l’autoproduzione, il ricercatore del Cra ha anche messo in guardia sul pericolo che la malavita possa approfittarne («ci sarebbero decine di migliaia di produzioni autorizzate, come potremmo controllarle tutte?») e della possibile contaminazione delle coltivazioni non controllate con diserbanti e prodotti chimici.
Purtroppo abbiamo dovuto annotare come nelle dichiarazioni di Grassi, ricercatore competente le cui idee sono state spesso ospitate all’interno della nostra rivista, siano stati riproposti tutti i luoghi comuni più inesatti contro l’autoproduzione. Diritto evidentemente inviso a molti. Si tratta però di luoghi comuni che non hanno base logica, e che ci piacerebbe non sentire più riproposti.
Di fatti non una delle ipotesi apocalittiche collegate all’autoproduzione ha una base concreta e razionale. L’idea che chi si mette a coltivare senza averne le competenze metta a rischio la propria salute è demenziale: la canapa – e un ricercatore non può non saperlo – se è coltivata male semplicemente o non cresce o cresce male. E se cresce male significa che produce livelli bassi di principio attivo: e questo non nuoce alla salute, semplicemente la rende meno psicoattiva. La canapa non può produrre nulla di paragonabile al metanolo.
L’idea che la malavita possa celarsi dietro l’autoproduzione è difficile da pensare visto che il testo in discussione permette la coltivazione di sole 5 piante dietro comunicazione ai Monopoli. Nemmeno a un ladro di polli verrebbe in mente di farsi registrare, rischiando di essere controllato, per spacciare 5 piante. Inoltre allo stato attuale siamo al punto in cui la malavita organizzata in Italia sta allestendo piantagioni da 15-20 mila piante, protette da guardie armate, e non esita ad ammazzare (ne abbiamo scritto qui, e anche qui). Il diritto all’autoproduzione è un modo per intaccare i suoi affari, non certo per favorirli.
Per quanto riguarda poi il rischio che le produzioni non controllate dallo stato possano contenere diserbanti o prodotti chimici siamo veramente al periodo ipotetico dell’irrealtà. Per quale ragione una persona che si coltiva cannabis per il suo consumo personale dovrebbe avvelenarla con prodotti nocivi? Non ha senso. Non per niente le verdure dell’orto sono più sane di quelle del supermercato.
Insomma, non sappiamo ad oggi se ci ci sia realmente il rischio che il diritto all’autoproduzione possa essere sacrificato nel testo, ma di sicuro si trova sotto attacco. Stretto tra l’incudine di chi vorrebbe una legalizzazione tutta improntata al commercio e al business, che sia per i soggetti privati o per lo stato (e non sono pochi anche all’interno dell’intergruppo) e il martello di chi, come Grassi, vorrebbe una legalizzazione statalista completamente in mano ai Monopoli per malintese ragioni di salute e controllo. Continueremo a vigilare.