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Attacco al giornalismo libero: reporter dietro le sbarre

Mentre gli avvocati di Assange hanno presentato l'ultimo appello all’Alta Corte inglese per evitare l’estradizione, in Europa e nel mondo altri operatori dell’informazione sono vittime di persecuzione

Julian Assange e altri giornalisti che sono stati incarcerati ingiustamente

Sono 293, ad oggi, i giornalisti incarcerati nel mondo perché a qualcuno non piaceva ciò che scrivevano o perché indagavano su fatti che qualcuno avrebbe voluto nascondere. Di questi, ben 85 sono in Europa. Sul sito del Comitato per la Protezione dei Giornalisti, c’è un motore di ricerca che permette di monitorare questi numeri. Altri reporter, che non sono incarcerati, subiscono invece la sorveglianza degli stati, vivendo nel timore che questi trovino ragioni per incriminarli. 

LA PAURA COME STRUMENTO DI SOTTOMISSIONE

Il problema è così diffuso che la Federazione Internazionale dei Giornalisti ha pubblicato il manuale “Guida di sopravvivenza per giornalisti”. Secondo il documento, “la democrazia non può funzionare se i giornalisti hanno paura”, tuttavia “politici e funzionari statali credono che un giornalista spaventato sia un giornalista sottomesso”. Si usa la paura come deterrente, sia verso il reporter sia verso i colleghi che potrebbero emularne la determinazione a indagare. È ciò che si teme accada con la possibile estradizione di Julian Assange, editore di Wikileaks e destinatario di una richiesta di estradizione negli Stati Uniti per aver aperto gli occhi al mondo, nel 2010, su quanto ordinarie fossero le torture e i più atroci crimini nell’ambito delle guerre in Iraq e Afghanistan, promosse all’epoca come battaglie per l’esportazione della democrazia. L’estradizione, richiesta dall’amministrazione Trump nel 2019 e mai revocata da Biden, creerebbe un precedente tale per cui ogni giornalista che rivelasse fatti imbarazzanti per un governo, potrebbe diventare oggetto di una richiesta di estradizione da parte dello stesso. L’effetto paralizzante sul giornalismo investigativo metterebbe a rischio la democrazia ovunque. 

ASSANGE, GLI ULTIMI RIVOLGIMENTI 

Dopo anni di detenzione arbitraria Assange presenta, secondo uno dei maggiori esperti mondiali di trattamenti inumani, “tutti i segni della tortura psicologica”. Nel prossimo appello presso l’Alta Corte inglese, che non si terrà prima dell’autunno 2022, i suoi legali contesteranno il fatto che, in primo grado, l’estradizione fosse stata negata solo per motivi legati alla salute. Tra quelli che la giudice avrebbe dovuto considerare ci sono invece la violazione dell’art.10 della Carta Europea dei Diritti Umani sulla libertà di pensiero, il fatto che il trattato di estradizione tra Gran Bretagna e Usa vieti quest’ultima se le ragioni per richiederla sono politiche, l’ammissione da parte di un testimone di aver inventato le accuse contro Assange e l’uso dell’Espionage Act, l’unica legge che non consente al giornalista di fare appello all’interesse pubblico come ragione valida per aver diffuso documenti secretati. 

LA “FILIERA” DELLA LIBERTÀ DI INFORMAZIONE

Come Assange, altri reporter hanno indagato oltre la facciata creata dalle campagne di marketing con cui governi e colossi privati presentano le loro imprese. E, nel farlo, hanno spesso messo il diritto del pubblico alla conoscenza prima della propria incolumità. Tra loro, vi sono anche figure che si differenziano da quella del giornalista. Oggi, infatti, la “filiera” dell’informazione – il percorso che la conoscenza dei fatti compie dalla fonte al cittadino – si compone spesso di figure innovative come quella del blogger che si occupa di notizie o del cittadino giornalista, come pure di categorie che sono sempre esistite, ma di cui solo di recente si è iniziato a riconoscere l’importanza. È il caso dei whistleblower, testimoni di reati dannosi per la collettività che decidono di fornire ai giornalisti materiali a riguardo. La libertà dei media e, dunque, la possibilità dei cittadini di valutare i propri governi, si mettono a rischio minacciando operatori che agiscono lungo tutta la filiera di cui parliamo. 

Edward Snowden

Snowden è forse il più celebre whistleblower al mondo. Per anni ha lavorato per l’intelligence Usa come esperto di sicurezza informatica. Convinto di operare per il bene del suo paese, Snowden si ritrova testimone di un cambiamento inquietante nel modo di operare dell’Nsa: l’obiettivo di quest’ultima non è più la sorveglianza di specifici individui, ma il sequestro incostituzionale dei dati privati di miliardi di persone non sospettate di alcun reato. Snowden realizza di aver collaborato alla costruzione di un archivio perenne di tutte le comunicazioni intercettate a livello globale, rintracciabili a piacimento. Nel 2013, a Hong Kong, si fa intervistare dal Guardian, a cui mostra i documenti che provano come il governo degli Stati Uniti stia distruggendo privacy e libertà fondamentali delle persone in tutto il mondo. Quando gli Usa cercano di estradarlo con l’accusa di spionaggio, riesce a rifugiarsi in Russia. «Lavoravo per il governo, oggi lavoro per il pubblico», dice di sé stesso ora che si occupa di studiare nuove tecnologie che garantiscano il rispetto dei diritti umani.

Thanasis Koukakis

Koukakis non è in carcere, ma fa parte del numero crescente di giornalisti intercettati con dispositivi di sorveglianza venduti ai governi. È un redattore di Cnn Grecia e ha portato avanti inchieste sui contratti della difesa e sulle spese del ministero dell’immigrazione. Secondo l’International Press Institute, la sorveglianza nei suoi confronti avrà un pericoloso effetto deterrente sul giornalismo di interesse pubblico in Grecia. 

Rashid Maysigov

Maysigov è un reporter del sito di giornalismo investigativo Fortanga, arrestato nel 2019 in Inguscezia, all’interno della Federazione Russa, dagli agenti del Servizio di sicurezza federale (Fsb). Questi affermano di aver rinvenuto in casa sua droghe e materiali sull’unificazione dell’Inguscezia con la Georgia. Maysigov ha detto al suo avvocato che gli agenti dell’Fsb lo hanno torturato con l’elettricità, costringendolo a confessare il possesso di stupefacenti. Grazie al Cpj, sappiamo che Maysigov ha realizzato reportage su corruzione, disoccupazione e violazioni dei diritti umani in Inguscezia. Nel 2020 è stato dichiarato colpevole di possesso di droga e condannato a tre anni in una colonia di regime generale.

Mehmet Baransu

Ci spostiamo a Istanbul, nella redazione del giornale Taraf. Anche qui, la sicurezza nazionale diventa pretesto per arrestare giornalisti delle testate non allineate col governo. Nel 2022, un tribunale ha condannato il giornalista Mehmet Baransu a tredici anni di carcere per aver acquisito e pubblicato informazioni secretate. Baransu era detenuto dal 2015 in relazione a questo caso, come risulta dai dati del Cpj, che nel suo resoconto sottolinea come il governo turco “non si fermi davanti a nulla per punire i membri della stampa in dissenso con la propria linea”.

SORVEGLIANZA DEI GIORNALISTI

Le leggi anti-spionaggio sono sempre più spesso utilizzate per limitare il flusso di informazioni. E, quando non sono le incarcerazioni o il timore di queste a creare un effetto frenante, lo stesso viene prodotto dal pensiero di poter essere spiati, come è accaduto di recente attraverso gli spyware prodotti dall’israeliana Nso. «Il software di Nso Group è stato trovato sui telefoni di centinaia di reporter, e questi sono solo i casi individuati», ha detto a Dolce Vita Naomi Colvin della Ong Blueeprint for Free Speech. «Finora», continua Colvin, «è stata la società civile a svolgere la maggior parte del lavoro, indagando sulle aziende che utilizzano spyware, tracciando le loro operazioni e assistendo coloro che sospettano che le loro comunicazioni siano state messe a rischio. È tempo che le istituzioni internazionali guardino con attenzione a questo settore e alle sue implicazioni per la libertà di espressione e la sicurezza dei giornalisti e delle loro fonti». 

A cura di Sara Chessa



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