Contro-informazione

Attacchi informatici e cyberguerra: la mancanza di sicurezza passa anche dal web

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Virus, trojan e attacchi informatici sono all’ordine del giorno nella società iper digitale nella quale viviamo oggi. Difendersi è sempre più difficile e l’insicurezza, di conseguenza, aumenta. Da un recente sondaggio Eurobarometro, a tal riguardo, emergono cifre allarmanti: l’89% degli internauti europei evita la diffusione di dati personali online, mentre il 12% è già stato vittima di frodi telematiche.

Non è un caso, quindi, che lo scorso gennaio sia nato, in Europa, il primo centro di lotta contro i crimini informatici, l’European Cybercrime Centre (EC3), organizzazione che ha come obiettivo il monitoraggio di tutti i reati che possono essere perpetuati a mezzo Internet – come la pedopornografia o le frodi bancarie – contro le infrastrutture pubbliche e private del nostro continente. Il tutto, in cooperazione con le forze di polizia nazionali. Il centro, che collaborerà, tra gli altri, con l’Fbi e con aziende di sicurezza informatica come McAfee, sarà composto da circa 40 esperti, diretti dal capo della polizia danese Troels Orting.

Gli attacchi informatici, dunque, rappresentano un problema che non va affatto sottovalutato. Alcuni di essi, per la loro virulenza e per la sensibilità dei loro obiettivi, hanno dato vita a quella che oggi viene definita “cyberguerra”, ovvero ad una sorta di conflitto bellico, seppur informatizzato, tra due governi. Un esempio per tutti è Stuxnet, il virus informatico, creato da USA e Israele, per colpire l’impianto nucleare iraniano di Digona; ma anche gli attacchi che pochi mesi fa hanno bloccato le banche e i grandi mezzi di comunicazione della Corea del Sud. Ed è proprio per ovviare a ciò che la Nato ha pubblicato il primo manuale di diritto che regolamenta questo tipo di scontri. In esso, per prima cosa, si sostiene che gli attacchi non devono colpire obiettivi civili sensibili, come ospedali o centrali nucleari. Ciò che va evitato in assoluto è l’uso della forza armata, salvo i casi in cui le azioni abbiano causato morti o danni rilevanti. La paura è che gli attacchi informatici, in un futuro non lontano, possano dar vita a guerre su larga scala; ed è per tale motivo che, nel manuale, i cybercriminali vengono considerati obiettivi militari legittimi.

L’esigenza di sicurezza è primaria in tutto il mondo. Oltre all’EC3, altri centri di difesa sono sorti nel Regno Unito e negli Usa.

E in Italia? Giovanni De Gennaro, direttore fino a un anno fa del DIS, Dipartimento Informazioni per la Sicurezza, ha sostenuto senza mezzi termini che il nostro Paese “è indietro nelle misure di difesa”, tanto da essere sprovvisto di un vero e proprio sistema di sicurezza. Eppure, nonostante tutto, lo Stivale rappresenta ancora una potenza mondiale, ed è quindi, presumibilmente e in maniera perpetua, nel mirino dei cyber terroristi.

Il problema, a quanto pare, è sempre lo stesso: il governo non investe perché mancano i soldi. O forse, con scarsa lungimiranza, si preferisce investire su altro.

Lorenzo Chiavetta
[email protected]



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