Arti marziali, amore in movimento
Quest’anno sono 15 anni consecutivi che pratico arti marziali nella stessa palestra: la Muay Thai è diventata l’amore più duraturo della mia vita a parte l’erba ed il Milan.
E sono 15 anni che il dramma si consuma sempre pochi istanti prima di dover uscire di casa, sempre uguale, in un déjà vu infinito. C’è sempre una vocina subdola che prima di ogni allenamento sussurra cose come: “Ma sì, per oggi potrei anche stare a casa e magari leggere un po’ e cenare con calma”. E lì devi solo smettere di pensare, alzarti, prendere la borsa e metterti in macchina. Perché sai benissimo dentro di te che la gratificazione del dopo allenamento può vincere la voglia di stare a casa. E che la soddisfazione che si prova sotto la doccia, coi muscoli che bruciano ancora, le contusioni che cominciano a farsi sentire e la sensazione di esserti guadagnato il tuo posto in una ristretta cerchia di svitati ai quali vuoi bene, ti fa sentire in pace. D’altronde i compagni di allenamento sono le persone con cui ho un contatto fisico più stretto che con chiunque altro. Si combatte insieme, sudando avvinghiati. Corpi che si mischiano incazzati. Lotte tra uomini che lottano coi propri demoni.
Io sono grato alla palestra prima di tutto perché mi ha insegnato il senso del sacrificio: quel minimo di costanza e padronanza di sé, li ho imparati lì. Prima di capire come si tira un destro. Ma dopo aver inteso che la guardia va tenuta sempre alta.
In generale le arti marziali si dividono in interne ed esterne e cioè quelle che puntano di più sull’aspetto spirituale e quelle che invece hanno un imprinting più fisico. In realtà è una differenza che si fa sempre più labile. A prescindere dal tipo di arte marziale, il valore della pratica, secondo me equiparabile a quello ad esempio della meditazione, è quello di farti vivere pienamente il momento: il riuscire a stare perfettamente nel qui ed ora, come dicono i maestri.
Dopo il saluto ed il primo passo sul tatami, i problemi, grandi e piccoli, scompaiono. Le sovrastrutture non esistono più: c’è la mente che controlla il corpo al meglio che riesce, ed il fisico che aiuta ad allenare la testa; c’è la crescita interiore di chi fa appello a sé stesso nella sua interezza e c’è la voglia di dare il meglio di sé, che aiuta a diventare persone migliori. In questo conta molto il Maestro ed il valore dell’esempio che riesce a trasmettere, che io trovo sia una delle più alte forme di amore che esistano e cioè quella di chi non ti punta il ditino contro dicendo cosa dovresti fare, ma che ti mostra giorno dopo giorno come le cose vanno fatte, con una costanza silenziosa che vale più di qualsiasi consiglio, urlato o sussurrato che sia.
Nonostante tutto quello che si possa pensare, anche in un’arte marziale considerata violenta come la Muay Thai, i pugni, i calci e le ginocchiate, sono quasi una scusa. Sono dei mezzi, degli strumenti per capire meglio se stessi in rapporto con gli altri e con la realtà e lo spazio che ci circonda. Praticare anni di arti marziali significa fare filosofia con il corpo, è un tentativo di cercare l’amore con il movimento. Tirare migliaia di pugni ti porta a capire che la forza di un destro non nasce dal bicipite che puoi avere gonfio quanto ti pare, ma dalla punta del piede che imprime la giusta rotazione e forza alle anche, che la trasmettono al tronco ed infine al braccio ed al pugno. Praticare anni di arti marziali ti può insegnare in modo vivido che il punto di massimo di equilibrio, corrisponde a quello di maggior fragilità, perché siamo umani e la perfezione non la raggiungeremo in questa vita. Ma dall’altro lato è la consapevolezza che ci saranno sempre nuovi demoni con cui lottare: nuove batoste che lasciano l’amaro del sangue in bocca, le costole indolenzite ed il fiato corto. E non potrai fare altro che incassare, cercando il silenzio ed assaporando il dolore fino in fondo, tenendo bene in mente l’esempio di vecchie pellacce che si sono battute così bene.
Perché tutto può finire, ma sarà soltanto un’altra scusa per ricominciare; boxando con la propria ombra nella lotta più spietata, che è quella che conduci con te stesso.