L’arte di meditare coi funghetti
Un neuroscienziato e un maestro zen hanno integrato l’uso della psilocibina nella pratica della meditazione. Obiettivo? Esaminare la natura della coscienza
Nell’ottobre del 2019, la prestigiosa rivista scientifica Nature ha pubblicato un articolo dal titolo “Caratterizzazione e previsione della risposta acuta e prolungata alla psilocibina in un ritiro di gruppo di mindfulness”, che illustrava nel dettaglio l’esperimento allestito dal prof. Franz X. Vollenweider, insieme al maestro Zen Vanja, presso il monastero del maestoso monte Rigi in Svizzera.
Lo studio andava ad indagare l’effetto sinergico tra l’assunzione di psilocibina e la pratica meditativa di mindfulness durante un ritiro di 5 giorni con 40 praticanti esperti di meditazione buddista.
Di quest’esperimento singolare narra anche il docufilm Descending the mountain (2021), splendidamente diretto da Maartje Nevejan e prodotto dalla Global Inside, in un viaggio mistico di rivelazione intorno alla misteriosa natura della coscienza che combina insieme arti visive, pratiche spirituali e ricerca scientifica.
Data l’importanza del set e del setting nel conformare le reazioni soggettive all’esperienza psichedelica, i ricercatori hanno ipotizzato che la pratica meditativa e di mindfulness potesse amplificare la profondità dell’esperienza indotta da psicotropi. Andiamo a vedere perché.
La psilocibina è una triptammina psichedelica presente in alcuni funghi allucinogeni del genere Psilocybe, Inocybe, Panaeolus e Stropharia, di cui è arcinoto l’uso tradizionale come rimedio curativo e sostanza inebriante presso molte popolazioni mesoamericane sin dai tempi antichi. Essa divenne nota al grande pubblico negli anni ‘50 e ’60 grazie agli studi del banchiere ed etnomicologo Gordon Wasson sui funghi mazatechi, i cosiddetti Magic Mushrooms, e sui rituali della curandera messicana Maria Sabina.
La mindfulness invece deriva da antiche concettualizzazioni buddiste come l’Abhidhamma e la Vishuddimagga, e originariamente traduce il termine sanscrito sati, che allude a uno stato di presenza mentale lucida e memoria del presente, in cui maturare consapevolezza circa ciò che accade in campo fenomenologico. Essa fu portata come pratica in Occidente grazie al lavoro di Jon Kabat-Zinn, biologo e professore della School of Medicine del Massachussets, che negli anni ’70 introdusse un protocollo (la Mindfulness Based Stress Reduction, MBSR) per indurre questo tipo di meditazione come intervento in differenti contesti clinici.
FUNGHETTI + MINDFULNESS = ∞
La scelta dei ricercatori di integrare queste due pratiche, così apparentemente distanti tra loro sia per retroterra culturale che per il tipo di modificazione di coscienza che inducono, si è rivelata una combinazione oltremodo efficace; non solo perché la meditazione permette di tamponare l’emergere potenziale dell’angoscia o di emozioni negative come ansia, disorientamento e paura di perdere il controllo, che potrebbero invece insorgere ad alte dosi di psilocibina, ma anzi, questi stati di alta concentrazione comportano un vero e proprio incremento nella regolazione dei propri stati emotivi e nella capacità di addentrarsi in stati di apertura e di self-dissolution come quelli indotti da psilocibina. L’ipotesi di fondo dello studio, in sostanza, era proprio quella di indagare se questa combinazione fosse vissuta con un’intensità tale da generare stati positivi a lungo termine.
Nel docufilm di Nevejan vediamo allora come la meditazione buddista praticata dai 40 partecipanti selezionati per l’esperimento sia divenuta, durante il 4° giorno di ritiro, un vero e proprio setting per canalizzare la dirompenza dell’esperienza psichedelica, senza per questo alterare la validità dello studio che comunque si è realizzato in doppio cieco, con un gruppo di controllo con placebo ed un gruppo sperimentale.
«Se avvicinate con rispetto ed in buone condizioni, queste sostanze hanno il potere di facilitare una reale e profonda esperienza mistica»: sono queste le parole di Vanja Palmers, il monaco che ha co-ideato l’esperimento insieme a Vollenweider e che vediamo sorridere in beatitudine nelle riprese, mentre passeggia per i boschi del monte Rigi o seduto in posizione zazen.
È questo uno studio importante per avvalorare l’ipotesi della possibile compatibilità tra queste due pratiche, sui relativi stati di coscienza che vanno a generare e sui predittori della risposta acuta a queste “esperienze di vetta”. Tale ipotesi è inoltre in concordanza con quello che fu uno dei primi tentativi di mappare la psiche, proposta nella cartografia della coscienza di Roland Fischer del 1971, in cui scorgiamo uno stato di veglia, sovrapponibile all’io di cui facciamo esperienza nel quotidiano, e due vie possibili di modificazione della coscienza: da una parte, mediante attivazione del sistema simpatico, abbiamo l’attivazione “ergotrofica” che corrisponde ad alterazioni percettive e ortosimpatiche (tachicardia, aumento della frequenza respiratoria e del tono muscolare ecc.), fino agli stati estatici e allucinatori di iperstimolazione. Dall’altra parte invece, procedendo per il continuum di rilassamento e ipostimolazioni percettive, abbiamo l’attivazione del sistema “trofotrofico” e parasimpatico, che conduce allo stato meditativo definito samadhi.
Il fatto interessante che emerge da questa seppur datata cartografia è che lo stato ch’è possibile raggiungere mediante l’iperstimolazione e l’ipostimolazione coincide, ovvero, che lo stato di vetta di apertura ed espansione di coscienza può darsi percorrendo fino al culmine entrambe le vie, tant’è che diventa così possibile passare da uno stato di samadhi ad uno estatico e iperattivato, e viceversa.
Nell’esperimento coi monaci sul monte Rigi abbiamo un’importante evidenza di cosa accade quando queste vie vengono integrate insieme, ovvero di come si combinino questi due sistemi, che attivano sistema simpatico e parasimpatico in alternanza al fine di ridurre gli stati negativi e d’agitazione e contemporaneamente di amplificare ed espandere quelli positivi e di concentrazione.
Uno stato di trascendenza che ci porta a un rinnovato senso di noi stessi e della nostra presenza nel mondo.
A cura di Carolina Camurati