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Apicultura urbana: una rete di centraline per testare la salute delle città

Apicultura urbana: una rete di centraline per testare la salute delle città

Forse, nell’ambaradan delle notizie a proposito dell’incendio di Notre-Dame dello scorso aprile, questa vi è sfuggita: insieme alla struttura portante e ai preziosi vetri, un altro patrimonio è scampato alle fiamme. Stiamo parlando delle api che da più di qualche anno ormai avevano la loro casa sui tetti della cattedrale parigina. Solo guardando dall’alto, ma non troppo, le nostre città, scopriremmo che sono diversi i tetti dei monumenti o le terrazze inaccessibili al pubblico dei palazzi a ospitare le arnie. «Le api non sono un pericolo per l’uomo, quindi possono stare ovunque» conferma Antonio Barletta di Urbees che è tra coloro che ha importato nel nostro Paese questa abitudine.

Dove vengono collocate le arnie in città?
Fondamentalmente dove la legge ce lo permette. Balconi, hotel, orti urbani. Io ho iniziato beccandomi una denuncia dalla mia vicina di casa, ma questa è un’altra storia che ho raccontato nel libro “L’arnia sul balcone?”.

Com’è nata l’apicultura nelle città italiane?
Quando mi sono accorto che nel mondo – Berlino, Australia, Stati Uniti, Hong Kong – l’apicultura urbana era già presente, ho iniziato a scrivere sui forum per portarla in Italia e da lì, da Torino per l’esattezza, è iniziata l’avventura.

Berlino è ormai piena di vespe. Come si spiega?
Credo dipenda dalla biodiversità, la città ormai ha un habitat molto più soddisfacente rispetto alla campagna. Il che è un paradosso.

Con il miele di un’arnia di città è possibile assaggiare un quartiere, perché si troveranno al suo interno tutte le specie vegetali che ci sono in giro, non è così?
Sì, è così. Il mio progetto, Urbees, non riguarda tanto le api in quanto produttrici di miele come alimento ma utilizza le api per fare ricerca sull’ambiente. Grazie a loro su Torino abbiamo acquisito dati sulle specie botaniche che sono presenti in città. Così come sugli inquinanti, tipo metalli pesanti o idrocarburi. Non dal miele ovviamente ma da altre matrici, come possono essere il corpo dell’ape, la cera o il polline.

La città infatti è inquinata, perché di questi veleni non c’è traccia nel miele?
I fiori danno alle api o nettare o polline. Dal nettare, che non ha contatti con l’esterno, le api producono miele. È la parte più pulita che c’è. Nel polline, invece, essendo all’esterno del fiore, puoi trovarci pesticidi o altro.

Perché ci preoccupiamo delle api e non delle vespe?
Banalmente perché le vespe, al contrario delle api, non hanno un valore economico. Ma non dovrebbe essere il profitto a guidarci, quanto il ruolo delle api nel processo di impollinazione. Impollinano l’80% di ciò che mangiamo: cioccolata, mele, mandorle… Se le api scompaiono, sparisce anche il nostro sostentamento.

Come possiamo tenere a distanza le api senza arrecare loro danno?
Molte volte noi ci spaventiamo quando vediamo un’ape, ma non è un insetto pericoloso; l’unico suo obiettivo è raccogliere il nettare dei fiori. Per tenerle lontane, basta non avere fiori sul balcone o dei contenitori dove stagni l’acqua. Sono le vespe che vengono a darci fastidio, in quel caso, basta tenere un po’ di birra o del prosciutto a distanza, target che preferiscono rispetto agli esseri umani.

A chi si vuole avvicinare a questo mondo cosa consigli?
Di leggersi un libro sulla biologia delle api. L’apicultura è un’attività da autodidatta.

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