Ape morta non dà miele
I proverbi sono senza tempo, talvolta però suonano più pertinenti che mai. Nel nostro caso, ape morta non dà miele, da antico monito contro lo sfruttamento dei lavoratori a slogan ambientalista il passaggio è stato lento ma inesorabile. Tutto è iniziato nel 2006 quanto negli Stati Uniti e in Europa hanno preso a succedersi numerosi casi di sindrome da spopolamento degli alveari, cioè la morte improvvisa della maggior parte delle api operaie. Che cosa stava accadendo?
Per capire l’origine del fenomeno dobbiamo andare più indietro nel tempo e allargare l’obiettivo. Negli ultimi trent’anni la massa totale degli insetti è calata del 2,5% ogni anno. Un decremento molto rapido che, in assenza di contromisure efficaci, nel giro di un secolo potrebbe tradursi in una vera e propria estinzione di massa, un’apocalisse secondo il New York Times. Alcuni di noi potrebbero essere addirittura sollevati da questa notizia: diciamolo pure, gli insetti non fanno parte di quel gruppo di animali che reputiamo meritevoli di protezione e il più delle volte siamo particolarmente ostinati nel tenerli il più lontano da noi e dalle nostre case, eppure il loro ruolo nell’equilibrio ecologico è fondamentale. Così fondamentale che, nell’eventualità di una loro estinzione, la vita sul nostro pianeta sarebbe compromessa.
Gli insetti sono responsabili di molti processi che ci riguardano da vicino come l’aerazione del suolo, il riciclo dei nutrienti, la fertilizzazione del terreno e l’impollinazione. In particolare le api domestiche e selvatiche sono responsabili di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta, garantendo il 35% della produzione globale di cibo. Senza di esse avremmo gli scaffali dei negozi di alimentari mezzi vuoti, dato che sarebbero privi della maggior parte della verdura e della frutta che consumiamo. A ben vedere a rischio c’è molto più del miele.
Il valore degli insetti impollinatori per gli ecosistemi naturali è incalcolabile. Gli altri organismi dipendono moltissimo dalle piante impollinate da questi insetti, e non solo per il cibo; basti pensare al ruolo delle piante alla conversione del diossido di carbonio in ossigeno, un processo che rende l’atmosfera respirabile e adatta a sostentare la vita sulla Terra.
Le api sono arrivate qui molto tempo prima di noi. Si sono evolute dalle vespe circa 125 milioni di anni fa, smettendo di essere predatrici per diventare cercatrici di nettare e polline. Oggi esistono circa 20mila specie di api, presenti quasi in ogni continente con l’eccezione dell’Antartide.
Le cause per cui la situazione delle api si sta evolvendo in maniera critica sono molteplici: parassiti, virus e l’utilizzo di pesticidi oltre alla diminuzione della diversificazione delle coltivazioni e il cambiamento climatico. Negli ultimi tre anni la situazione si è assestata, le perdite si sono ridotte e diversi insetticidi neonicotinoidi sono stati banditi, almeno in Europa, ma ancora le api non sono del tutto fuori pericolo.
«Se scomparissero, non sarebbe una cosa buona per tutti noi». Per questo Morgan Freeman ha piantato acri e acri di trifoglio, circa 140 alberi di magnolia e semi di lavanda nel suo ranch in Mississippi così da trasformarlo in un’oasi per questi preziosi insetti. Una decisione presa non per la sua passione verso il miele, che non ha, o per i proventi che potrebbe ricavarne, non ne ha bisogno, ma come assunzione di responsabilità verso l’ambiente in aperta polemica – resa nota più volte durante le interviste – con la multinazionale Monsanto, oggi di proprietà della Bayer, che «gioca a fare Dio cercando di riscrivere le regole della natura e così facendo le sta togliendo di mezzo, una specie per volta». L’attore non è il solo personaggio pubblico a prendere sul serio l’equilibrio dell’ecosistema, dove basta il venir meno di un elemento affinché tutto si alteri in maniera che non possiamo esattamente prevedere né controllare.
Non possiamo permetterci di ignorare quello che lo studio delle api ci dice sul nostro legame, sempre più tenue, con la natura. Come specie tendiamo a credere che la prosperità e spesso la nostra stessa sopravvivenza dipendano dalla capacità di controllare la natura gestendo i campi, le foreste e i corsi d’acqua per soddisfare i nostri interessi. Spesso sbagliamo e anteponiamo l’aspetto economico a quello ecologico. Un messaggio che sta diventando sempre più popolare se anche il sito di video pornografici, Pornhub, ha lanciato un genere completamente nuovo di nature porn dedicato al salvataggio delle api con lo scopo di raccogliere soldi, attraverso la pubblicità online sul canale Beesexual, da devolvere a organizzazioni che si occupano di salvaguardare questi animali.
Poiché non siamo ingenui, non possiamo tacere che dietro all’interesse dell’uomo per le api ci sia anche e più banalmente un ragionamento di tipo economico che chi non conosce il settore potrebbe sottostimare: il valore dell’impollinazione delle api in agricoltura è enorme – per dare un ordine di grandezza si calcola che nella sola Svizzera è almeno 5 volte superiore a quello che proviene dai prodotti diretti dell’apicoltura (miele, polline, cera d’api, ecc.). Ad oggi non esiste un’alternativa sostenibile per assolvere alla funzione di questi insetti o compensare ad una diminuzione della loro attività. Solo in Europa, ben 4mila varietà agricole dipendono dalle api, un numero che può aiutare a immaginare quante persone a diversi livelli siano legate al loro benessere.
Così come il canarino per il minatore, le api rappresentano un sistema di allerta precoce contro gli effetti nocivi delle nostre tecnologie. La loro sopravvivenza a rischio ci racconta per l’ennesima volta che non abbiamo ancora trovato il punto di equilibrio che ci consenta di beneficiare del nostro ecosistema senza danneggiare la natura. Vedere il tracollo delle loro società ci permette di assistere in anticipo alla nostra rovina. Un finale che volendo possiamo ancora cambiare.
Ora è più chiaro che non si tratta solo di miele.
Mena Toscano
Giornalista underground dal 1999