Psiconauta

Animali psicoattivi: formiche e bruchi

2015-07-24 02.39.08 pm

Nel rapporto umano con le droghe sono spesso coinvolti degli animali. Dal caffè all’amanita muscaria, dal tè all’iboga, numerose droghe sono state scoperte dall’uomo osservando gli animali che si inebriano intenzionalmente con quelle sostanze. Ciò è in relazione con l’importante scoperta etologica che anche gli animali si drogano. Ma il coinvolgimento degli animali nel rapporto fra uomo e droghe riguarda anche il caso delle droghe animali, cioè di quegli animali o parti di animali che sono psicoattive quando consumate dall’uomo.

Sono note le proprietà allucinogene della secrezione ghiandolare di alcuni rospi e conosciamo malamente altri casi di droghe animali, ed è probabile che un numero così esiguo – rispetto a quello delle droghe vegetali (oltre 1400 specie catalogate nel mio ordinateur) – sia dovuto alla nostra ignoranza.

Diverse tribù indiane della California utilizzano la pianta allucinogena-delirogena del toloache (Datura wrightii) per contattare il mondo sovrannaturale e acquisire poteri sciamanici. Durante il periodo invernale, quando il toloache non è reperibile, essi utilizzano un’altra fonte visionaria, che considerano più potente della datura: formiche rosse del genere Pogonomyrmex, il cui doloroso pizzico è ben noto ai tribali.

2015-07-24 02.38.50 pmFra i Chumash della California meridionale, se un giovane desidera acquisire uno “spirito alleato”, non deve fare altro che seguire la seguente procedura: si fa accompagnare da una “dottoressa delle formiche” – una donna anziana del villaggio specializzatasi in questo compito – in un luogo appartato, a cielo aperto. Dopo tre giorni di digiuno e di vomiti notturni indotti per purificare il corpo, l’aspirante visionario si sdraia sul terreno a schiena in giù; seduta accanto, l’anziana donna gli porge sulla bocca una piccola pallottola inumidita di peluria di aquila attorno alla quale sono avvinghiate 4-5 formiche vive. Il giovane deve aspirare la pallottola con un unico soffio, in modo tale che non si fermi nella bocca, ma sia deglutita direttamente nello stomaco.

Una dopo l’altra, il giovane può assumere sino a 90 pallottole, per un totale di circa 400 formiche. Queste devono restare vive nello stomaco; se morissero, ne morrebbe anche il giovane. Terminata l’assunzione, la donna muove energicamente il corpo del giovane, lo tamburella allo stomaco, lo fa rotolare avanti e indietro sul terreno, lo colpisce ai fianchi, e in tal modo le formiche ingoiate si mettono a mordere la parete interna dello stomaco, iniettando tutte contemporaneamente il loro veleno. Come conseguenza di ciò il giovane perde conoscenza e incontra finalmente la visione così dolorosamente ricercata. Perché tutta la fase di ingoio di formiche vive – che non risparmiano morsi a destra e a manca mentre scendono nell’esofago – è accompagnata da una forte sensazione di bruciore alla gola, che aumenta sempre più, fino al momento della perdita di conoscenza. Se ha assunto le formiche di prima mattina, il giovane riprende conoscenza nel pomeriggio. A questo punto egli beve dell’acqua calda per indurre il vomito e permettere il “ritorno a casa” delle sacre formiche, rimaste vive per tutto quel tempo.

Se qualche lettore pensa che per il giovane formicofilo sia tutto finito qui, si sbaglia. Fra le culture tradizionali non ci sono vie di mezzo per la trascendenza, non c’è spazio per le mezze misure nelle vie di conoscenza. Dosi forti e tempi lunghi sono richiesti dalle visioni tribali, ed è diffuso il concetto che più le visioni sono sofferte, più sono profonde e cariche di significato.

Tornando alle visioni a sei zampe californiane, ciò che fin qui è accaduto al giovane è solo l’inizio di una serie di “scorpacciate” di formiche, a 400 per volta, che si susseguono per 2 o 3 volte al giorno, per 3, 4 o più giorni, sino al momento in cui le formiche ingerite trovano la via del “ritorno a casa” da sole, cioè risalgono l’esofago e fuoriescono dalla bocca, senza più doverle vomitare. A quel punto si è completato il contatto con lo spirito alleato, che ha scelto il giovane conferendogli le sue virtù. Non sono ancora noti i principi attivi di queste formiche, ma è stato calcolato che le dosi assunte dai “mangiatori” di formiche sono di poco inferiori a quelle letali.

2015-07-24 02.38.56 pmSe questa tecnica visionaria può sembrare ripugnante e pericolosa, più sicura e gustosa dovrebbe apparire quella praticata dai Malali, una piccola tribù della costa del Brasile. Quando un Malali non riesce a prender sonno perché emotivamente scosso da qualche cosa – e solo in questo caso – prende un bruco che vive negli internodi dei bambù in fiore. Chiamato dagli indigeni bicho de tacuara, questo grosso bruco che raggiunge la lunghezza di 10 cm è stato identificato come larva di una farfalla del genere Myelobia. Si trova solo nel periodo di luglio-agosto, ma i Malali fanno essiccare i bruchi e li conservano gelosamente per consumarli nei momenti opportuni. La testa del bruco è considerata velenosa e viene rimossa, facendo attenzione a conservare il tubo intestinale, che sembra essere la parte dell’animale responsabile delle proprietà psicoattive.

Una volta ingerito il bruco, l’indigeno cade in una specie di sonno estatico, che dura un giorno intero e dal quale si risveglia ricordando di essere stato in luoghi meravigliosi, ricchi di frutti deliziosi, splendidi uccelli e animali di tutti i tipi, una sorta di paradiso terrestre. I Malali fanno attenzione a non eccedere con questi “incontri” con il bruco, perché considerano debilitante il suo uso frequente.

Restando fra gli insetti, fra gli indigeni Aymara del lago Titicaca, in Bolivia, la conoscenza di uno scarabeo che provoca allucinazioni è così radicata, che è comune fra loro il detto “qualcuno gli ha dato uno scarabeo da bere” nel riferirsi a un matto, nello stesso senso in cui nella regione catalana è detto “estar tocat de bolet”, in Ungheria “bolondgombát evett” (“ha mangiato funghi matti”), in Austria “er hat verrückte Schwammerln gegessen” (“ha mangiato quei funghi che provocano la follia”) e in Slovenia “najeo se ljutih gljiva” (“ha mangiato il fungo folle in quantità”), che associano i funghi psicoattivi con gli stati di confusione mentale; modi di dire che restano a testimonianza di antiche conoscenze e approcci rituali di quello scarabeo e di quei funghi dalle proprietà visionarie.

Decisamente più appetitosi sono i dream fish e pez borracho, cioè le varie specie di pesci che possono rappresentare un piacevole paradiso o un pauroso inferno per i pescatori, a seconda della qualità (e delle interpretazioni) delle allucinazioni indotte dal consumo della loro carne. Pesci “che fanno sognare” quando mangiati, sono noti lungo le coste dell’Africa del sud, delle isole Hawaii, degli arcipelaghi della Melanesia e del Giappone, lungo le coste del Perù e in tanti altri luoghi, ma mancano ancora ricerche specifiche. E’ molto probabile che le proprietà inebrianti di diversi di questi pesci siano dovute al fatto che questi si cibano di alghe o di altri pesci psicoattivi o tossici, e fungerebbero quindi da bio-mediatori fra la vera fonte di droghe psicoattive e l’uomo. Del resto l’uomo in alcuni casi ha intenzionalmente forzato animali a cibarsi di droghe psicoattive, per poi cibarsi della carne di quegli animali, detossificando e/o potenziando le proprietà allucinogene delle droghe originarie.



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