Anatomia dell’allucinazione: profeti del vuoto
Il quarantunenne Siegel è probabilmente l’esperto mondiale sulle allucinazioni prodotte scientificamente. Si dà anche il caso che sia stato l’unico scienziato americano a continuare a fare ricerche sull’LSD nell’epoca postpsichedelica. (Ai fini scientifici, l’epoca dell’LSD terminò nel 1966, l’anno in cui il composto divenne una “sostanza controllata”, circondata da più burocrazia di una visita ufficiale nelle province sovietiche). Ma, senza violare una sola legge, Siegel ha somministrato LSD, mescalina, marijuana, anfetamina, cocaina, psilocibina, polvere degli angeli, barbiturici e altre sostanze psicoattive a centinaia di volontari all’Istituto neuropsichiatrico dell’UCLA. E nessuno, egli dice, ha mai fatto un cattivo viaggio nel suo laboratorio.
La storia del primo dizionario scientifico dello spazio interno è contrassegnata da un certo interessante karma psicofarmacologico. Per esempio, Ron Siegel è nato nello stesso anno (1943) in cui Albert Hofmann, un chimico che lavorava ai laboratori Sandoz in Svizzera, ingerì per errore un oscuro composto dell’acido lisergico e fece il primo viaggio al mondo causato da quest’acido. La storia si ripeté un quarto di secolo dopo quando Ron Siegel, nel corso di esperimenti sulla chimica della memoria a Dalhousie, stava pesando della fine polvere bianca che era puro LSD-25 della Sandoz – il Ding-an-sich (la cosa-in-sé), il Pouilly-Fuissé dell’acido. Un po’ della polverina aderì presumibilmente alle sue dita ed entrò nel suo circolo sanguigno, poiché il ricercatore si trovò ben presto in uno stato decisamente alterato. Piuttosto che abbandonarsi all’esperienza mistica, Siegel cercò un modo per applicare il suo abituale sangue freddo behavioristico al mondo soggettivo. Ciò avvenne non molto tempo prima che si affacciasse sulla scena una nuova scienza dell’introspezione sperimentale” (un altro ossimoro di Siegel).
“Nei primi anni della ricerca psichedelica”, ricorda Siegel, “l’esperienza della droga era considerata troppo complicata per poterla descrivere. L’affermazione più circostanziata che si poteva avere da un protagonista di un viaggio era “Uau!”. Poiché per Siegel “Uau” era un’espressione troppo soggettiva, egli continuò a lavorare a un codice standardizzato dell’allucinazione. Attraverso inserzioni pubblicitarie in quotidiani diffusi nei bassifondi, egli reclutò nel suo laboratorio all’UCLA un gruppo pionieristico di esploratori dello spazio interno. Prima di somministrare loro una singola droga, egli usava diapositive colorate per insegnare loro un nuovo vocabolario visivo. “Essi non dicevano solo: ‘E’ un verde chiaro, o un verde pisello…”’ spiega Siegel, “ma dicevano: ‘E’ una lunghezza d’onda di 540 milioni’, e avevano un margine di errore di un paio di millimicron”. Gli altri punti di riferimento nel paesaggio mentale erano forme geometriche e tipi di moto. Se ai soggetti di Siegel veniva proiettata un’immagine per otto millisecondi (V125 di secondo), essi erano in grado di classificarne il colore, la forma e le dimensioni di movimento con la stessa precisione con cui gli zoologi etichettano generi e specie.
In seguito, mentre una certa dose di un certo farmaco psicoattivo circolava nel loro flusso sanguigno (sostanza e dosaggio venivano cambiati ogni settimana), gli “psiconauti” entravano nelle camere buie, isolate acusticamente, del laboratorio. (A noi non fu consentito di avvicinarci alla zona delle allucinazioni, poiché Siegel è abbastanza attento a evitare la pubblicità che inquinò gli esperimenti di Timothy Leary a Harvard all’inizio degli anni sessanta). Qui i soggetti comunicavano circa venti volte al minuto le loro visioni, nel codice precostituito, attraverso un citofono. “Registravamo queste relazioni da tutti i nostri soggetti e facevamo un’analisi statistica per ottenere un’immagine prototipo media”, racconta Siegel. “Poi chiedevamo a un artista di disegnarla. Le immagini venivano riproiettate in seguito ai soggetti, i quali sceglievano quelle che si avvicinavano di più alle allucinazioni da loro sperimentate”.
Dopo vari anni di minuziosi rilevamenti di questi paesaggi immaginari, Siegel scoprì una cosa straordinaria: la mente dell’uomo contiene solo un certo numero di visioni. Quando gli psiconauti chiudevano gli occhi e guardavano dentro di sé senza aver preso droghe, vedevano tonalità nere, bianche e violette. Sotto l’influenza di sostanze psichedeliche i colori predominanti erano invece il rosso, l’arancione e il giallo, mentre il THC (tetraidrocannabinolo), il principio attivo della marijuana, produceva un azzurro freddo. Assumendo placebo, sedativi e anfetamina, i volontari di Siegel vedevano principalmente tediose forme bianche e nere che si muovevano a caso; sotto gli effetti dell’LSD e della mescalina vedevano forme geometriche che diventavano sempre più complesse col procedere del viaggio. Man mano che l’esperienza si faceva più intensa, queste forme ruotavano, pulsavano ed esplodevano, cedendo poi il posto a immagini più personali.
Ma la cosa che interessò di più a Siegel era la seguente: qualsiasi allucinogeno prendessero, gli psiconauti continuarono a vedere quattro forme geometriche fondamentali ricorrenti: le stesse quattro forme, o “costanti geometriche”, che uno scienziato dell’Università di Chicago, Heinrich Kluver, aveva decifrato nelle allucinazioni da mescalina già negli anni venti. Fu Kluver a dar loro i nomi: la spirale, la galleria o l’imbuto, la ragnatela e la grata (o griglia o favo). La lezione è che un cervello umano, appartenga esso a uno studente del secondo anno dell’Università di California a Los Angeles o a uno sciamano huichol, è costruito nello stesso modo e ha allucinazioni lungo le stesse linee. Tutte le visioni possibili sono predeterminate dal nostro cablaggio elettrochimico. Le allucinazioni hanno una proprietà simile, se si crede a Ron Siegel. Il nostro cervello immagazzina informazioni nella forma di immagini, e queste vecchie immagini sono soggette ad attivarsi ogni volta che noi volgiamo i nostri sensi verso l’interno. “Quando fuori è ‘buio’, quando i nostri sensi non ci danno accesso al mondo reale – come per esempio nella deprivazione sensoriale, nell’arresto cardiaco o nel sonno – noi vediamo l’arredo della nostra mente, le immagini memorizzate in essa. L’altro modo per avere allucinazioni è quello di ‘attizzare il fuoco’, di stimolare in misura eccessiva il cervello con una quantità di LSD o con qualcos’altro e di vedere le proprie immagini interne sovrapposte al mondo esterno”.
Per essere precisi, nell’allucinazione ci sono due fasi. La fase uno è quella geometrica cui abbiamo già accennato. La fase due è complessa e le sue immagini sono strettamente personali: conigli bianchi, omini verdi, serpenti tricipiti, angeli, demoni, “Lucy in the Sky with Diamonds” (LSD), viaggi fuori dal corpo, la faccia della nonna morta. Quella che nella fase uno è stata una similitudine (“Mi sento come se volassi”), nella fase due diventa una realtà letterale (“Sto volando”). La fase due non si presta ovviamente ancora a un sistema di classificazione scientifica. Ma, dice Siegel, in tutta questa stranezza ci sono ancora certe regole del moto nascoste (per esempio le cose tendono a pulsare e poi a ruotare). Ci sono leggi che governano la metamorfosi delle immagini: gli uccelli si trasformano di solito in pipistrelli, i pipistrelli in scope e poi in streghe. I particolari tendono ad accalcarsi nel campo visuale periferico, e le luci brillanti in centro. E queste regole sono veramente regole neurali, dice Siegel. “La forma suggerisce che una colonna di cellule corticali, che archiviano certi ricordi sotto forma di immagini, è eccitata, cosa che evoca una fila di immagini. Il maestro dell’allucinazione ha applicato la sua cartografia anche a una grande varietà di stati alterati non indotti da farmaci. Iperventilazione, ipoglicemia, corse su lunghe distanze e la demenza della neurosifilide, per menzionarne solo alcuni. Stati di timore estremo, sogno, fantasticherie, e le “aure” surreali che precedono gli attacchi di emicrania; fiutare la colla, osservare cristalli, bombardamento sensoriale, deprivazione sensoriale, danze ritmiche e luci intermittenti. Per non menzionare i marinai di navi che hanno fatto naufragio e gli speleologi rimasti intrappolati in caverne, che a volte hanno visioni simili a quelle dei santi. Una settimana dopo la nostra visita a Siegel, telefonammo a Jack Cowan a Chicago e gli chiedemmo di parlarci dei meccanismi di un cervello in preda ad allucinazioni. Cowan è un biofisico-matematico che progetta modelli matematici del cervello.
“Assieme a un mio allievo determinai ciò che accade realmente nel cervello di un individuo quando ha delle allucinazioni”, ci dice. “Questo fatto la dice lunga su come sono i circuiti nella corteccia cerebrale”. Ed ecco gli imbuti, le ragnatele, le spirali e le grate/favi – le quattro costanti geometriche di Kluver – realizzati nel regno astratto delle simulazioni al computer di Cowan, esattamente come lo erano nelle camere visionarie di Siegel. Le equazioni di Cowan dimostrarono che, ogni volta che l’eccitazione elettrica supera una soglia critica, la corteccia genera le forme allucinatorie che ci sono familiari. Che queste geometrie assomiglino ad altre strutture in natura, e in particolare alle correnti di convenzione ascendenti e discendenti in liquidi scaldati, non è un caso, secondo Cowan, poiché ai cervelli e ai liquidi turbolenti si applicano le stesse leggi matematiche. “Se riscaldate un liquido in una pentola, vedrete formarsi in esso dei favi”, spiega. “Le strutture sono le stesse che si vedono nelle allucinazioni. La matematica di questi fenomeni è nota come rottura di simmetria. Ogni volta che si ha un sistema fisico con simmetrie come lo stato di quiete di un fluido, in cui tutte le molecole si muovono in modo casuale e sono distribuite in modo più o meno uniforme, e che vi si introducono perturbazioni, le simmetrie si rompono. Allora si formano delle strutture”. Nel cervello l’equivalente della fiamma accesa sotto la pentola potrebbe essere l’LSD, un attacco di petit mal, uno stato psicotico o qualsiasi cosa che sottoponga la corteccia a una stimolazione eccessiva.ù
Judith Hoper e Dick Teresi
fonte: L’universo della mente, Hooper J. & Teredi D., Bompiani