L’alternativa all’Occidente si chiama BRICS
È ancora presto per dichiarare il tramonto della leadership di Stati Uniti ed Europa sul pianeta, ma le richieste di entrare a far parte dell’alleanza dei paesi emergenti (BRICS) è tale che a tutti è chiaro che l’Occidente non è più il solo riferimento mondiale
Non è stato dichiarato se, con l’ingresso di sei nuovi membri, il club delle economie emergenti rivedrà il suo nome. L’acronimo BRIC è stato inventato quasi 20 anni fa da un analista della Goldman Sachs per etichettare un gruppo di paesi che stavano crescendo a ritmi vertiginosi, diventando motori del PIL mondiale e offrendo visioni del futuro alternative.
Quei paesi erano Brasile, Russia, India e Cina. Ma è stato solo nel 2009 che questi paesi sono passati dalla teoria alla pratica, creando il fronte BRIC. L’anno successivo incorporarono il Sudafrica e furono ribattezzati BRICS. A questi a partire dal 2024, secondo quanto deciso lo scorso agosto all’ultimo vertice di Johannesburg, si aggiungeranno Arabia, Iran, Egitto, Argentina, Etiopia e Emirati Arabi.
Un gruppo eterogeneo i cui membri differiscono per tantissimi aspetti – dimensioni, storia, cultura, risorse, problematiche e prospettive – che rappresenta circa il 30% del PIL mondiale, il 46% della popolazione mondiale e controlla il 42% dell’offerta mondiale di petrolio. Sono cifre che da sole bastano a far intravedere un domani in cui la leadership dell’Occidente, inteso come Stati Uniti e Europa, sia tutt’altro che scontata.
LA NASCITA DEI BRICS
I BRICS sono nati come reazione al dominio egemonico dell’asse transatlantico sulla globalizzazione; sono nati dall’insoddisfazione del dominio occidentale che si è imposto sulla Terra attraverso la guerra e la violenza; sono nati dall’idea di un mondo in cui le potenze periferiche si organizzano in modo autonomo e hanno un posto alla tavola rotonda delle questioni globali.
In tutto questo tempo, i quattro Paesi fondatori più il Sudafrica hanno rafforzato le loro relazioni a tutti i livelli e hanno guadagnato peso nel mondo, in termini economici e di influenza, anche se è vero che il mercato interno ha continuato a essere il principale motore della loro crescita e che non sono riusciti a integrarsi nelle catene globali del commercio allo stesso livello dei loro concorrenti occidentali. In particolare, i BRICS originari rappresentano solo il 19% del commercio internazionale – esportazioni più importazioni – mentre il G7, il loro principale rivale, ne rappresenta il 31%.
Uno dei loro maggiori successi è stata la creazione della Banca di sviluppo nel 2014, un’istituzione finanziaria che mira a fare da ponte tra la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale nel finanziamento di progetti di sviluppo in tutto il mondo. Tuttavia finora le sue operazioni sono state piuttosto limitate.
Oggi il consolidamento del gruppo ha modificato la percezione che il cosiddetto Sud globale aveva della propria consistenza strategica. Era l’Occidente a organizzare le cose, comprese le guerre, e i Paesi emergenti a subirle.
Dopo l’ultimo vertice di Johannesburg, infatti, la visione è diversa. «I Brics sono diventati una cosa più potente, più forte, più importante. Credo che il mondo non sarà più lo stesso dopo l’allargamento dei Brics, nelle discussioni economiche globali», ha detto il presidente del Brasile, Lula.
Tutti i Paesi possono avere una voce che si fa sentire a livello internazionale. Pochi di questi Paesi sono democrazie consolidate, ma questo non è un motivo per metterli a tacere. Le democrazie occidentali dominanti, sempre additate come esempi di sviluppo politico e sociale globale, non si sono rivelate come altrettanto “democratiche” nei loro comportamenti. Le loro azioni internazionali sono spesso basate sulla violenza delle armi o sulle imposizioni commerciali, e hanno sempre ripercussioni sui Paesi dell’ex Terzo Mondo.
NON UNA SOSTITUZIONE, MA LA CREAZIONE DI UN’ALTERNATIVA
L’allargamento del fronte è stata una vittoria soprattutto per Cina e Russia, i paesi più determinati a costruire un blocco che faccia da contrappeso al G7 e concentri il sentimento anti-occidentale. Altri membri, come India e Brasile, sono stati più reticenti perché temevano di perdere peso nell’organizzazione, ma il ritiro degli Stati Uniti dal Medio Oriente e la crescente rivalità tra Washington e la Cina, in cui sempre più nazioni periferiche optano per l’equidistanza, hanno armato Pechino e Mosca di argomenti.
Si tratta certamente di un passo avanti che assicura ai BRICS un maggiore impatto nelle decisioni e un maggiore spazio di manovra, soprattutto in ambito energetico, dal momento che hanno incorporato tre membri dell’OPEC – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iran.
In ogni caso, coordinare il nuovo gruppo non sarà facile: tutti i membri concordano sulla necessità di riformare le istituzioni internazionali create dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale – ONU, FMI e Banca Mondiale – ma differiscono nei loro interessi nazionali.
Il Brasile, ad esempio, sostiene la neutralità sulla scena globale, mentre per l’Iran la cooperazione con gli Stati Uniti è una linea rossa. Nemmeno le dispute di confine sempre più radicate tra India e Cina sono una buona notizia per l’alleanza. L’allargamento complicherà ulteriormente la comprensione tra Paesi sempre più diversi, ma allo stesso tempo sarà un’opportunità unica per competere con l’Occidente su un piano di parità nella lotta per l’egemonia globale.
D’altronde, a giudicare dalle oltre venti candidature dei paesi per entrare a far parte del fronte e arrivate all’ultimo summit in Sudafrica, la prospettiva di un’alleanza di paesi non allineati sembra più promettente del chinare la testa davanti ai dettami del Pentagono. Per sempre più paesi, quindi, il riferimento non è già più solo l’Occidente. L’Occidente sembra solo quello meno credibile.
Gli analisti concordano che a breve termine non ci sarà una sostituzione dell’egemonia commerciale e politica dei paesi occidentali, del dollaro e delle istituzioni come il FMI o la Banca Mondiale. Tuttavia, questo non significa che dovremmo perdere di vista quei movimenti che ci mostrano la nuova realtà della geopolitica internazionale: il mondo unipolare in cui non c’è altra alternativa se non ballare al ritmo degli Stati Uniti non esiste più. Siamo all’alba di un mondo multipolare e la domanda è: come la prenderà l’Occidente?
LA POSIZIONE DELL’EUROPA
La posizione atlantica sospetta di un mondo diviso, sempre più lontano da sé e sempre più antagonista, ma a ben guardare la sua principale debolezza non deriva dai suoi avversari, neanche dalla sua mancanza di unità interna: deriva dall’assenza di una visione complessiva del mondo futuro e di un progetto che offra abbastanza certezze da poter essere condiviso.
Non a caso il prossimo incontro del G7 nasce già diviso: ciascuna potenza si sta preparando individualmente per una grande riorganizzazione tecnologica, industriale e commerciale senza sapere su quali principi si basino tali sforzi né verso quale orizzonte generale dovrebbero puntare. Le gravi emergenze che si accumulano al momento non hanno né una diagnosi né una proposta congiunta di soluzione.
Tutto questo bolle in pentola ormai da troppo tempo e ciò che rimane sul fondo è la mappa di un nuovo centro che alcuni già chiamano deglocalizzato.