Alle Isole Faroe va in scena l’annuale strage dei cetacei in nome della tradizione
La tradizionale caccia alle balene delle Isole Faroe, la cosiddetta Grindadràp, è ormai tristemente notoria. Ogni anno la popolazione locale si riunisce nelle spiagge dell’arcipelago, armata di coltelli, uncini e occasionalmente armi da fuoco, pronta a prendere parte a una mattanza di cetacei che trova le proprie origini nei rituali di caccia dei Norreni del XII secolo, rituali che, ancora oggi, i faroesi difendono gelosamente. Ma se da una parte la pratica è fortemente radicata nelle tradizioni isolane, l’occhio della comunità internazionale è gradualmente diventato sempre più critico nei confronti della Grindadràp, che non trova più giustificazione nel sostentamento della popolazione, e che, anzi, appare ormai come una violenza insensata e disumana, che difficilmente trova collocazione nel XXI secolo.
Proprio la caccia del 2021 è stata emblematica del malcontento che il resto del mondo prova nei confronti di questa tradizione, sentimento ampiamente ricambiato dai faroesi. Durante la mattanza di quest’anno, infatti, un drone della Sea Shepherd, ONG statunitense che si occupa di monitorare le attività illegali in alto mare, è stato il bersaglio di alcuni spari di armi da fuoco mentre sorvolava una spiaggia dell’arcipelago per riprendere l’evento, che si è concluso con la morte di almeno 175 tra globicefali e iperodonti, due specie di cetacei di grandi dimensioni. Secondo l’organizzazione non governativa, la caccia è una pratica barbara ma, soprattutto insostenibile, vista la particolare disciplina che la regola. Per la Grindadràp non è infatti prevista una stagione specifica, e difficilmente le amministrazioni locali negano le autorizzazioni necessarie quando viene identificato un pod di balene, permettendo alle barche faroesi di attirare i cetacei verso una delle 26 “killing bays” designate per la mattanza anche diverse volte in uno stesso anno.
La pratica sarebbe di per sé sanzionabile secondo la normativa europea, che tutela ampiamente i cetacei, ma le isole Faroe, che godono di un regime di autonomia speciale, non sono entrate a far parte dell’Unione Europea insieme alla Danimarca nel 1973, pur usufruendo di accordi di libero commercio con l’organizzazione, rendendo di fatto quasi impossibile applicare una sanzione. Secondo la Sea Shepherd UK, inoltre, la sostenibilità della caccia ai globicefali, da anni sostenuta dal governo faroese, non sarebbe in realtà sostenuta da nessun dato valido, visto che non c’è traccia di alcun studio ufficiale che confermi quanto affermato dai vertici dell’arcipelago.
Le critiche mosse alle Isole Faroe sono le medesime che vengono poste al Giappone e alla vicina Norvegia, avidi consumatori di carne di balena, e il crescente interesse per le questioni ambientali ed ecologiche a livello globale non farà che intensificare l’attenzione che la comunità internazionale già rivolge a questo tipo di pratiche. Un dibattito finale sulla sostenibilità della caccia e della pesca come sono oggi concepite è ormai alle porte, e difficilmente una tradizione come la Grindadràp riuscirà a trovare il proprio posto in un panorama sempre più sensibile vero le necessità degli ecosistemi che compongono il pianeta, preannunciando uno scontro tra le impellenze ecologiche ormai impossibili da ignorare e tradizioni dure a morire.