Alla scoperta dei batteri promotori della crescita delle piante
Cosa ha in comune la Via Lattea con un pugno di terra? A una prima impressione poco o nulla, in realtà condividono molte caratteristiche. Basti sapere che circa 100 grammi di suolo contengono circa 150 miliardi di batteri, più o meno quante sono le stelle della nostra galassia. Quindi se un pugno di terra equivale a una galassia, un vaso o un orto possono essere considerati, in termini astronomici, degli interi universi.
Il suolo di fatto è un universo ancora tutto da esplorare, non con Space Shuttle bensì con accurate ricerche biologiche. A partire dai primi anni del 2000 numerose sono state le scoperte legate a tale argomento. Nel suolo non sono presenti solo batteri, vi sono anche funghi, insetti, nematodi, alghe e protozoi, tutti insieme interagiscono continuamente tra di loro creando quello che di fatto è un sistema vitale con i suoi equilibri e regole. Tra tutti questi organismi vi è una ristretta categoria, di particolare rilevanza, conosciuta con l’acronimo di PGPR (Plant growth – promoting rhizobacteria) detti anche batteri promotori della crescita delle piante. Tra tutte le specie di batteri presenti nel suolo, quelle appartenenti alla categoria dei PGPR sono solo tra il 2% e il 5% dei batteri totali. Essi pur essendo in numero esiguo hanno un elevato valore biologico. Alcuni di essi vivono nell’area del suolo prossima alle radici delle piante altri aderiscono o vivono all’interno di esse, creando un profondo rapporto simbiotico. Tale convivenza porta a numerosi vantaggi alla pianta tra cui:
- fissazione dell’azoto atmosferico all’interno del suolo, il quale poi può essere assorbito dalla pianta;
- aumento della disponibilità di nutrienti difficilmente assimilabili come ad esempio il fosforo e il ferro;
- produzione di sostanze in grado di contrastare batteri e funghi patogeni;
- regolazione del pH;
- produzione di ormoni che favoriscono la crescita delle radici e del fusto.
Il loro utilizzo in agricoltura potrebbe andare a sostituire gli attuali fertilizzati di origine minerale, la cui estrazione e lavorazione porta diverse conseguenze ambientali ed economiche. È stato dimostrato che un utilizzo non ponderato di fertilizzanti di origine minerale a base di azoto negli anni porta a un accumulo di nitrati tossici nel suolo, a un inquinamento delle falde acquifere e a una riduzione della biodiversità di batteri e funghi. Inoltre una cattiva gestione della concimazione può anche causare variazioni significative del pH e un aumento di metalli tossici per la salute umana sia nel suolo sia nelle piante con cui ci cibiamo.
Uno studio condotto nel 2018 da ricercatori dell’università di Teramo ha voluto mettere a confronto i risultati e i possibili vantaggi di una fertilizzazione utilizzando PGPR rispetto a una fertilizzazione in cui si impiega l’azoto minerale. Gli studi sono stati condotti sulla canapa, in particolare sulla coltivazione di Finola. Tale varietà viene comunemente coltivata per ottenere fibra, produce quantità trascurabili di THC e ha una bassa produzione di CBD. Sulle radici delle piante di canapa sono stati inoculati i seguenti 4 ceppi batterici: Azospirillum brasilense, Gluconacetobacter diazotrophicus, Burkholderia ambifaria e Herbaspirillum seropedica.
L’esperimento ha dimostrato che i batteri sono stati in grado di colonizzare sia la superficie che l’interno della radice. L’instaurazione di questo stretto rapporto ha portato a dei risultati molto interessanti. Si è visto che con una determinata quantità di tali batteri nel suolo si riuscivano ad avere gli stessi risultati, se non addirittura superiori, ottenuti con una concimazione azotata. Si è notato che rispetto ai campioni non fertilizzati la lunghezza del fusto nelle piante fertilizzate ad azoto era aumentata del 27% mentre quelle fertilizzate con PGPR del 32%. Anche la superficie dell’area fogliare è aumentata nettamente rispetto al campione non fertilizzato: la fertilizzazione azotata e quella con PGPR hanno portato ambedue a un aumento di circa il 50%. Di particolare rilevanza è anche l’aumento, se pur minimo, di CBD. È evidente che i batteri nel terreno sono riusciti a ottenere gli stessi risultati che l’uomo ottiene somministrando fertilizzanti minerali nel terreno. Tale studio sperimentale di fatto offre una nuova prospettiva di coltivazione della canapa senza l’utilizzo di azoto e con un minore impatto ambientale.