In vino veritas, in cannabis ad maiora semper
All’ultima edizione del Vinitaly, per sostenere il settore, si sono recati 4 ministri del governo oltre alla presidente Meloni, mentre alla fiera di Canapa di Roma sono state inviate tutte le forze dell’ordine per 3 giorni consecutivi di perquisizioni
Il Vinitaly è una fiera di settore dedicata al vino e ai distillati, che si ripete annualmente dal 1967. Conta migliaia di espositori e le affluenze sono elevatissime (93mila persone nell’edizione 2023). Tra le filiere della coltivazione della vite, quella della produzione di vino è la più prestigiosa e redditizia: non c’è paragone coi mercati dell’uva da tavola, o dei derivati salutistici come l’olio di semi d’uva o le foglie di vite.
Il vino è un prodotto nato circa 7mila anni fa; probabilmente per caso da qualcuno che provò il succo d’uva fermentato naturalmente, all’interno di contenitori dove erano stati conservati i grappoli. Sicuramente non fu per il buon sapore che questa bevanda ebbe successo, bensì per i suoi effetti inebrianti. L’uomo è arrivato persino a farne una divinità: Bacco, Dio del vino e della vendemmia, nonché del piacere dei sensi e del divertimento.
In Europa, l’Italia è al terzo posto per il consumo di vino totale: oltre 230 milioni di ettolitri.
In merito alla birra invece, sul sito della Coldiretti, si legge che il consumo pro capite è arrivato a 36,8 litri. Il nostro è evidentemente un paese di bevitori, tanto che consuma aperitivi alcolici, amari e superalcolici quasi il 50% della popolazione, dagli 11 anni in su (58,1% uomini – 34,6% delle donne). Secondo i dati dell’Istat relativi al biennio 2020-2021 (quelli che riguardano il 2022 saranno elaborati il prossimo anno insieme ai dati del 2023) il 15% degli adulti italiani compresi tra i 18 e 69 anni consuma alcolici in modalità o quantità ritenute “a maggior rischio” per la salute: insomma, secondo l’istituto di statistica, 8,7 milioni di italiani hanno problemi con l’alcol.
Sappiamo che l’assunzione di alcol altera l’attività cerebrale: inibendo il principale neurotrasmettitore eccitatorio (il glutammato) e potenziando quello inibitorio (l’acido gamma-amminobutirrico), ha effetti negativi sulle capacità di risoluzione dei problemi e sulla memoria.
Influisce sul pensiero razionale, nel sopprimere la rabbia e nel fare scelte consapevoli. Tutti effetti che peggiorano all’assunzione di altro alcol; sino al coma etilico. A piccole dosi, incrementando la dopamina presente nel circuito mesolimbico della ricompensa, e rilasciando endorfine, porta a sensazioni di gioia, euforia e condivisione.
Ma il danno non è solo per chi abusa: oltre 20 miliardi di euro all’anno vengono spesi dallo Stato per problematiche sanitarie e sociali dovute all’abuso di alcol come incidenti, morti, perdita di produttività, assenteismo, disoccupazione, costi sanitari.
Quali sono gli aspetti positivi? Nel settore della produzione del vino sono impegnate 490mila imprese tra agricole e di trasformazione, per un giro d’affari di 10,4 miliardi di euro. È uno dei pochi settori in cui il saldo commerciale attivo cresce del 5,2% annuo. Inoltre è un orgoglio nazionale: siamo primi per produzione di vino, davanti a Francia e Spagna.
Nella produzione di birra, la filiera completa offre lavoro a oltre 140mila persone, ed è un elemento trainante per l’economia. Le distillerie ed i laboratori specializzati invece producono oltre 1 milione di ettolitri di distillati; alcuni dei quali sono delle eccellenze come la grappa Nonino Gran Riserva 27 anni, che è inserita al primo posto nella classifica dei migliori distillati al mondo dalla rivista specializzata Falstaff.
Per sostenere il mercato degli alcolici, leggermente in calo durante gli anni di pandemia, i politici italiani hanno preferito evitare di imporre etichette che mettano in guardia il consumatore in merito ai danni che l’alcol provoca alla salute. Purtroppo il vino non fa “buon sangue”, perché determina malassorbimento e cattivo funzionamento epatico; esattamente al contrario di quel che sostiene la “saggezza popolare”.
Eppure sono oltre 30 milioni gli italiani che consumano, più o meno regolarmente, alcolici.
Non è per l’economia che l’alcol è legale, date le tante conseguenze negative del consumo, ma per soddisfare la volontà popolare. È un piacere a cui troppe persone non vogliono rinunciare. Non si vieta l’alcol, nonostante in Italia muoiano la media di 48 persone al giorno a causa del suo consumo. L’alcol è socialmente accettato e largamente pubblicizzato, anche se provoca forte dipendenza fisica. Quando si tratta d’alcol, il problema è il consumatore.
Nonostante sembri una follia, è giusto così: non è mai la sostanza quella da incriminare, ma il modo di consumarla. Lo sa benissimo la presidente Meloni, che al Vinitaly ha dichiarato: «Il vino non è solo un fatto economico ma anche culturale. C’è una storia, una letteratura, una filosofia del vino». Per sostenere il comparto, oltre alla presidente Meloni c’erano ben 9 ministri del governo (Salvini, Lollobrigida, Tajani, D’Urso, Sangiuliano, Casellati, Crosetto e anche il ministro della Salute Schillaci). A Roma invece, quando a febbraio si è tenuta la fiera Canapa Mundi, non si è vista nessuna presenza istituzionale, ma ci sono state perquisizioni di tutte le forze dell’ordine per 3 giorni consecutivi.
Sarebbe meraviglioso se si usasse la stessa logica per la cannabis: questa pianta ha una storia più antica della vite. La canapa ha accompagnato l’evoluzione umana; basti pensare alle corde, la carta, i tessuti e i farmaci. L’uso ricreativo/meditativo del fiore risale a oltre 2.500 anni fa. Il proibizionismo di un fiore che non ha mai provocato un solo morto nella storia dell’umanità, e che viene oggi consumato da circa 6 milioni di italiani, penalizza fortemente o blocca anche le filiere che con la “droga” non c’entrano nulla, come quello della canapa industriale o della cannabis medica.
Intanto la Germania sta cercando di superare gli ostacoli posti da una convenzione sugli stupefacenti datata 1961, ormai violata anche da chi l’ha voluta per primo. Ha presentato una proposta legge che prevede la regolamentazione di possesso e autoproduzione, lasciando al futuro prossimo la regolamentazione delle vendite. I tedeschi hanno stimato una domanda interna annua di 400 tonnellate, che con una eventuale legalizzazione porterebbe a un guadagno per le casse pubbliche di quasi 5 miliardi di euro all’anno, grazie a entrate fiscali aggiuntive e risparmi sui costi delle spese di contrasto al consumo ricreativo.
In Italia è stato calcolato che la legalizzazione potrebbe portare, tra introiti diretti e indiretti, un giro d’affari di oltre 10 miliardi, e 350mila posti di lavoro. Ma è ancora una questione poco discussa, evidentemente scomoda, che sembra non avere altra soluzione che quella di proibire, nonostante gli insuccessi.
Nella speranza che l’esempio di altri Stati faccia superare i pregiudizi nazionali, continuiamo a batterci per la legalizzazione della cannabis.