Alaska on the road
Guidare lungo Dalton Highway significa percorrere il primo tratto della Panamericana, la strada più lunga del mondo: l’unica impervia via per chi vuole immergersi nella parte più remota e disabitata dell'Alaska
“Alaska, The Last Frontier“, ci dà il benvenuto il cartello alla frontiera.
Be’, non per noi. Siamo Diana e Marco, in arte Close to Eternity, e stiamo percorrendo le Americhe con un van auto-camperizzato che abbiamo comprato nella nostra prima tappa di questo lungo viaggio, Miami. Da lì, abbiamo guidato surfando tra fiumi di Bourbon, cascate del Niagara, torrenti dei grandi Parchi Nazionali dell’Ovest canadesi… Fino a giungere qui.
Ma l’Alaska non è la nostra ultima frontiera. È solo un altro inizio.
Da qui, infatti, si può arrivare al punto più a nord del pianeta raggiungibile in auto, il paesino di Deadhorse a Prudhoe Bay. Ecco perché “l’ultima frontiera”: perché oltre questo punto, non c’è niente. C’è una strada chiusa dall’Oceano Artico, un punto dove puoi solo fare un’inversione a U e tornare da dove sei venuto.
Quindi perché andarci, direte voi? Perché questa non è una strada qualunque, è la mitica Dalton Highway. E non solo: in quel dietro-front, c’è tutto il potenziale dell’inizio di un viaggio epico, conosciuto con il nome di Panamericana. Una strada lunga oltre 25mila km che attraversa 17 stati, fino a raggiungere Ushuaia, ultima città a sud del mondo raggiungibile in auto, nella Patagonia Argentina. Un’altra nostra impresa realizzata nel corso dei due anni seguenti, ma questa è un’altra storia… Per ora, voglio concentrarmi sul racconto di questo suo pezzo iniziale, anche conosciuto come Dalton Highway.
Per prima cosa, è di vitale importanza fare una sosta nel centro visitatori della città di Fairbanks, la seconda città più grande dell’Alaska. Una città super costosa che si isola dal resto del mondo nel periodo invernale, quando le temperature scendono a -50° C. Tutti fanno scorte per l’inverno qui, perché nemmeno i camion con le provviste riescono più ad arrivare a causa dell’altissimo manto nevoso che ricopre le strade. La gente vive con un’estrema considerazione del tempo e della temperatura esterna. Se fuori ci sono -30°C, deve sapere per quanto tempo può sopravvivere prima che sopraggiungano i primi segnali di ipotermia. In un clima così avverso e che può cambiare repentinamente, in qualunque stagione dell’anno è buona prassi informarsi sulle condizioni metereologiche e stradali prima di avventurarsi su questo percorso che è spesso talmente disastrato da aver meritato un episodio dedicato nella serie televisiva di “Highways to hell”.
La Dalton Drive è una strada industriale, accidentata, che inizia 134 km a nord di Fairbanks e termina 662 km dopo, a Deadhorse. Essa offre una rara opportunità di attraversare una parte remota e disabitata dell’Alaska fino alla cima del continente. «Percorrere questa strada comporta rischi e sfide reali», ci ammonisce la brochure illustrativa del centro visitatori. «Non ci sono strutture mediche, i servizi di riparazione, cibo, gas e veicoli sono estremamente limitati».

Occorre essere autosufficienti, prepararsi: il carburante sarà raro e carissimo lungo la strada, conterrà meno zolfo e avrà prestazioni peggiori; noi siamo partiti a bordo del van con quattro serbatoi di scorta per un totale di 80 litri di carburante proveniente da Fairbanks, dove il prezzo era di 3,38 dollari al gallone. Poi una ruota di scorta, un sigillante spray per pneumatici e un piccolo compressore d’aria.
La strada è una sfida continua: in costante costruzione o manutenzione per compensare al traffico dei mezzi pesanti che la attraversano, bel tempo permettendo. Abbiamo percorso i primi due giorni dopo innumerevoli giornate di pioggia continua e la situazione era estenuante. Le buche erano voragini, i quindici chilometri orari erano la nostra media di navigazione. A questo si aggiungevano i grandi camion che percorrono costantemente l’autostrada e che hanno la precedenza, spesso guidando a velocità folli, incuranti dei sassi lanciati contro i parabrezza altrui dai loro enormi pneumatici. A noi hanno regalato una crepa di sette centimetri e ci è andata bene: sappiamo di altri viaggiatori a cui il vetro è praticamente esploso in faccia, tanto grandi e veloci erano le saette scagliate loro contro. Abbiamo segnato la fine della fessura con un pennarello per sapere quanto velocemente si sarebbe allargata e abbiamo continuato ad andare avanti, imperterriti.
Le parti con asfalto sono anche peggio di quelle non sigillate, poiché le buche sono ancora più profonde e non puoi vederle da lontano. Ci siamo fermati al campo di Coldfoot per la notte, ma si può dormire ovunque nelle deviazioni che si trovano lungo l’autostrada (solo non sulla via degli accessi del gasdotto adiacente).
Il secondo giorno non è stato migliore: piovoso, nessuna fauna selvatica in vista e un carburante super costoso fino a 4,5 dollari al gallone, per un totale di 120 dollari per riempire solo i ¾ del nostro furgone. Però una sosta all’Arctic Interagency Visitor Center a Coldfoot è un must, in questa zona. Si può addirittura ritirare un certificato gratuito che attesta che si è giunti fino alla linea del Circolo Polare Artico! Nelle vicinanze c’è anche un cartello stradale commemorativo, per fare fotografie iconiche del momento.
Qui è anche dove i pochi turisti si fermano. Ci sono infatti alcuni van organizzati da Fairbanks che portano gruppi fino a questo punto, con il solo e unico scopo di fare questa fotografia, di apporre la simbolica bandierina (“check!”) sulla mappa, o la spunta nella bucket list. Un vero peccato, perché qui è dove il bello inizia.
A mezzogiorno un timido sole combatteva contro le nuvole per darci un po’ di riposo, mentre varcavamo l’ingresso al villaggio di Wiseman, non lontano da Coldfoot. C’è una signora che gira sempre per il villaggio in cerca di turisti, ama fare quattro chiacchiere ed è felice di parlarci della costruzione del gasdotto (ha aiutato a costruire la Dalton Hwy) e di come vive la gente in questo villaggio che ora conta 35 anime.
Dopo Wiseman è arrivato il momento di attraversare la parte più temuta del viaggio: il Passo Atigun, con pendenze fino al 12% in discesa; siamo stati grati di avere le nostre nuove pastiglie dei freni sul nostro furgone!
È diventato di nuovo nuvoloso e, poiché eravamo così in alto sulla montagna, la strada era coperta da un fitto manto di nebbia, e non riuscivamo a vedere nulla. Marco ha avuto un brutto momento, lassù. In quel momento è passato un pick-up e abbiamo deciso di seguirlo. È stata una benedizione! Avere la retroilluminazione che ci guidava attraverso la nebbia sulla strada sterrata è stato il modo migliore per gestire la situazione, e siamo riusciti a scendere in sicurezza.
Dopo altre 20 miglia il tempo è di nuovo migliorato, di tanto in tanto era perfino definibile soleggiato. In questo punto infatti, le montagne sono la porta dei venti artici per spazzare via le nuvole; qui il paesaggio cambia radicalmente, niente più alberi, ed emergono i bellissimi colori della tundra artica. Ricordo chiaramente che questo è stato il primo momento in cui ho pensato: “Ne è valsa la pena!”. Il North Slope è l’ultimo lembo di terra dell’Alaska, l’estremo nord, la vera ultima frontiera; e ai miei occhi è la cosa più vicina alla Mongolia che abbia mai visto, il mio paese preferito nel mondo finora.
Purtroppo le condizioni stradali sono peggiorate, se possibile.
Procedevamo lentamente, a volte addirittura a quindici, esasperanti, chilometri orari. Ogni volta che osavamo accelerare un po’, le buche ci facevano pagare caro il prezzo della nostra audacia. Il camper era un disastro alle nostre spalle: tutto ciò che poteva muoversi leggermente veniva gettato da qualche altra parte, ogni oggetto si nascondeva in anfratti introvabili. Dobbiamo ancora ritrovare l’accendino che abbiamo perso il primo giorno, e fortunatamente Marco aveva uno zippo con lui, così abbiamo ancora potuto cucinare.
Di notte ci siamo accampati a Deadhorse, sulla riva del Sag River. C’erano molti posti disponibili e solo un altro turista in tutta l’area; c’erano alcuni cacciatori, dato che agosto è l’inizio della stagione di caccia. C’è molta fauna selvatica, e questo è molto importante per la popolazione locale che ora caccia per avere cibo durante l’inverno. Nella zona vivono principalmente di pesca e caccia, e la legge impone che possano usare solo archi, senza pistole o fucili. Un cacciatore ci consiglia di rimanere nel furgone, dato che ha visto molti orsi grizzly in giro per la zona; tuttavia, non abbiamo avuto alcun incontro lì, quindi non siamo sicuri se ci stesse prendendo in giro o meno…
Il terzo giorno siamo andati a visitare l’emporio di Prudhoe Bay, praticamente l’unica cosa che può interessare un turista in quella zona. Abbiamo scattato le nostre foto davanti all’insegna di Prudhoe Bay e lasciato le nostre firme sul tabellone. Abbiamo utilizzato il carburante dei nostri serbatoi di scorta poiché ci era stato suggerito di non fare rifornimento a Prudhoe Bay: tutto il carburante dopo Coldfoot ha bassi solfuri e quindi ha prestazioni peggiori.
Abbiamo quindi iniziato il nostro viaggio di ritorno, finalmente con una bella giornata di sole!
Il bel tempo ha dato una percezione completamente diversa della strada: la manutenzione è stata fatta al mattino quindi la strada era davvero buona (ancora qualche buca, ma qualcosa che potevamo gestire a 60 chilometri orari), i colori erano stupendi e tutta la fauna è venuta fuori dai loro nidi per godersi la giornata: abbiamo visto buoi muschiati, renne, scoiattoli prima del Passo Atigun. Poco prima di Coldfoot abbiamo persino visto una lince con i suoi cuccioli.
Un’esperienza completamente diversa, senza nuvole abbiamo potuto godere della splendida vista della valle sotto di noi, con la tundra del versante nord che ci mostrava la sua bellezza in un paesaggio pieno di giallo, verde e rosso rubino, i primi segnali di un autunno alle porte.
Il quarto giorno abbiamo avuto, ancora una volta, una giornata di sole. Tra Coldfoot e Fairbanks abbiamo visto tre alci, innumerevoli conigli, e ci siamo fermati a Finger Mountain per i panorami stupendi, e al ponte sul fiume Yukon.
La strada appena mantenuta è stata così agevole che siamo tornati in sette ore, fermandoci anche per il pranzo. Questo solo per far notare quanta differenza faccia guidare questa strada con il bel tempo e la corretta e regolare manutenzione che ne consegue.
In conclusione: questa strada è divisa in tre diverse zone climatiche – il clima dell’Alaska centrale, la foresta boreale (una foresta gigante, un sacco di animali selvatici come orsi, lupi, gufi) e il versante nord (tundra artica, niente alberi, scarsa pioggia). Questo comporta una biodiversità e uno spettro panoramico incredibile racchiuso solo in questi 600 chilometri. Abbiamo ammirato più animali qui che in tutto il Canada messo insieme. Poi c’è la possibilità di conoscere la storia eschimese locale e di ammirare il Trans-Alaska Pipeline, un imponente progetto durato tre anni e che costeggia la Dalton, realizzato in soli cinque mesi su un terreno permafrost.
Non aspettarti di uscire facilmente da qui, senza riparazioni meccaniche… Non succederà, la Dalton non perdona. A meno che tu non sia davvero fortunato. Non importa quanto ti sia preparato o sia bravo a guidare (anche se aiuta), a volte è solo questione di fortuna o sfortuna.
Ma se decidi di fare questo giro, per favore, non fermarti al cartello del Circolo Polare Artico per scattarti una foto e poi tornare indietro. No. Tutta la parte migliore del viaggio è oltre il Passo Atigun. Non vorrai saltare un miglio di ciò che viene dopo. Quindi non farlo.

a cura di Diana Barbieri
Scrittrice, fotografa, Youtuber. Viaggio ad ogni costo – Autostop dall’Italia al Medio Oriente è il suo primo libro. Su instagram @closetoeternity