Agli antipodi della Blackness?
Tra Blackness e Misogynoir
Ora che “negritudine” è diventato termine tollerato (si deve essere capito che niger, –ra, –rum altro non è che l’etimo latino del colore nero), le questioni più spinose si incontrano nel parlare di blackness. Questo perché, prima di tutto, un punto di vista esterno – con buona pace dell’antropologia – non fa che esautorare chi lo formula (cioè: restiamo comunque italiani, o caucasici, o non-afroamericani), ma anche perché gli anni duemila hanno partorito mostri concettuali che hanno invaso, senza pietà, il panorama delle definizioni. Non tutte, ad ogni modo, prive di senso o non necessarie.
Non ultimo, il neo-conio misogynoir: esiste davvero? E se sì, di cosa si tratta?
Per meglio contestualizzare questo interrogativo – che, va detto in anticipo, non si fa portatore di alcuna risposta ma solo di altri e nuovi interrogativi – è indispensabile una ricostruzione cronologica, prima ancora che interpretativa, su cosa ha portato Beyoncé e Kendrick Lamar a diventare i due poli opposti dell’afroamericanità.
Beyoncé al Super Bowl
Lo scorso 7 febbraio, durante l’halftime del Super Bowl, è successo che Beyoncé ha eseguito una provocatoria – ma soprattutto dirompente – performance della sua Formation. “Provocatoria” non per la canzone in sé, naturalmente, né tantomeno per alludere al ben noto ancheggiare di una delle più apprezzate paladine del soul (anche se dicendo pop non sbaglieremmo): quasi indisponente, e di impatto fortissimo, è stata la rivendicazione di legittimità all’azione delle Pantere Nere da parte della ex Destiny’s Child e del suo corpo di ballo. Questa presa di posizione si è concretizzata a tutti gli effetti nel pugno chiuso, alla Tommie Smith e John Carlos, mostrato dai ballerini al termine della coreografia (con tanto di foto e cartello con la scritta “Justice 4 Mario Woods”); in parallelo, fuori dallo stadio di San Francisco, era in corso una sommossa popolare contro il Super Bowl, contestato in quanto emblema di un capitalismo che si serve del proprio intrattenimento di portata mondiale per addormentare le coscienze. Bene: in tutto questo trambusto ideologico, alzi la mano chi si sarebbe aspettato di ricevere, dalla signora Jay-Z, una dichiarazione dalla portata tanto profonda e socialmente impegnata davanti a cento milioni di persone.
La performance di Coldplay, Beyoncé e Bruno Mars al Super Bowl 2016
La reazione che ne è seguita si può configurare in sintesi nei seguenti punti:
a) prese di posizione istituzionali contro l’opportunità del gesto, tra chi si è dissociato e chi l’ha pubblicamente criticata;
b) prese di posizione dell’opinione pubblica contro l’opportunità del gesto, tra hashtag come #BoycottBeyoncé e satira intenta a chiedersi “quando Beyoncé si fosse ricordata di essere nera”;
c) in generale, un grande scalpore.
Un dato statistico (e un avvertimento sulle fonti di informazione a cui attingere): grandi critiche dagli uomini (dai maschi, per essere più chiari); grandi critiche dai bianchi. Ma anche grandi critiche dai maschi neri.
La domanda è una sola: perché? Perché è accaduto tutto questo, posto che l’esibizione, come tutte le altre nel suo genere, è stata in fondo dettata da dinamiche di marketing e promozione pubblicitaria? Perché, se non siamo di fronte alla nuova Angela Davis, né a un’ideologa illuminata?
Kendrick Lamar ai Grammy
In qualcosa di simile si è tradotta l’operazione di monsieur Kendrick Lamar alla consegna dei Grammy Awards (15 febbraio). Il medley di Kendrick, fatto della combinazione tra The Blacker the Berry e Alright, è stato qualcosa di ancor più esplicitamente inneggiante ai soprusi sui neri da parte delle forze dell’ordine. Da una parte ha ribadito il concetto, dall’altra ha rincarato la dose con un grado di consapevolezza (o intenzionalità) molto più elevato rispetto alla Knowles.
Nonostante l’avesse preannunciato e nonostante alcune censure preventive ad alcune parti dei suoi testi, Lamar si è spinto fino a un’esibizione in cui si metteva in scena un carcere pieno zeppo di afroamericani (il bersaglio: le incarcerazioni di massa e, ancora, the cops). Superfluo aggiungere, a tutto questo, che il nome di Mario Woods non doveva essere stato propriamente rimosso dalla memoria collettiva.
La straordinaria performance di Kendrick Lamar ai Grammy
Ebbene, a seguito di un’esibizione che ha lasciato i presenti senza parole, tra lo scalpore e lo stupore, in un contesto che ha visto il suddetto artista uscire da pluripremiato, le reazioni sembrano essere state un pochino diverse: elogi dai critici; elogi dalla (in quanto rappresentativa della blackness?) Casa Bianca, che anni fa, in concomitanza con le prime elezioni presidenziali del buon Barack, nominava, tra i punti della propria campagna elettorale, qualcosa a proposito della Baia di Guantanamo (“Ready or Not?” cantavano i Fugees a proposito delle stesse carceri).
La domanda, obbligata a fronte della comparazione tra i due momenti, non cambia: perché? Soprattutto, perché gli stessi che hanno distrutto Beyoncé osannano Kendrick?
Le interpretazioni possibili
Ci sono molti modi possibili per spiegare la disparità di trattamento, posto che questa andrà, prima di tutto, riconosciuta e localizzata. In altri termini: c’è stata, ed è stata troppo clamorosa per non essere rilevata.
Su Beyoncé se ne possono dire a bizzeffe: ragionandoci, di primo acchito, la cosa più ovvia è concludere che non si tratta che di una popstar. Ma è davvero ridicolo che abbia lanciato questo messaggio, più o meno intenzionalmente? Perché, anche ammessa una certa “involontarietà”, sembra difficile pensare che un’artista “di colore” (si notino l’apostrofo e le virgolette), specie in USA, abbia capito tardivamente di far parte di un gruppo (più che di una parte o di una fazione) socialmente e storicamente preso di mira. è, dunque, un insulto bello e buono, scherzare sul fatto che la cantante si sia accorta solo ora di questa realtà. Che si pretende? Che diventi San Francesco d’Assisi, lasci Jay e rinunci ai suoi privilegi?
“Beyoncé donna” forse è una chiave di lettura interessante. “Beyoncé donna nera” è, forse, una chiave nella chiave.
Se la rappresentanza della cosiddetta blackness non sta andando alla ricerca di una nuova Angela Davis o di un nuovo Luther King, non è detto che nuove di figure di riferimento non servano – con altrettanta utilità – alla causa. Se il “Kill your Idols” è un motto da non intendersi in senso assoluto, può e dovrebbe comportare un ricambio generazionale. Senza nulla togliere alla potenza – anche rivoluzionaria e di grande valore ideologico – del fenomeno-Lamar, una certa parte di cultura nera (e di cultura Hip Hop) può iniziare a interrogarsi su alcuni problemi che sembra avere con le donne. Non è la solita e ritrita questione dei testi offensivi o volgari: sembra essere molto di più.
Lo stesso dicasi, incidentalmente, per il modo di considerare le differenze sessuali o di genere (dalle realtà LGBT in poi, anche se qualche rapper sembra avere maturato una certa coscienza): e questo valga non solo per gli States, ma anche, nel nostro piccolo, per noi italioti, che ancora non sappiamo distinguere tra un insulto a Balotelli perché è un giocatore irritante come pochi e un insulto a Balotelli perché è nero.
Per esempio: che cosa sarebbe successo se Clementino o Rocco Hunt avessero imbastito, a Sanremo, un discorso anti-Padania? E se fosse arrivato da Maria Nazionale?
Per restare in tema, tornando ai Tommie Smith e ai John Carlos: che effetto farebbe un Bolt con il pugno alzato alla cerimonia di premiazione di Rio? Sarebbe solo un nuovo Marcus Garvey inneggiante alla ganja o qualcosa di più? Sarebbe nocivo alla causa o porterebbe di nuovo alla luce un problema tutt’altro che superato?
Videografia*:
https://www.youtube.com/watch?v=F56O3kZ9qr0 (documentario sulle Black Panthers)
https://www.youtube.com/watch?v=JPmk7I0A8k8 (documentario su Compton; background di Lamar)
https://www.youtube.com/watch?v=NgM2PpBAkOY (la questione vista dai bianchi – provocatoriamente, I)
https://www.youtube.com/watch?v=p2O5MGpfKTc (la questione vista dai bianchi – provocatoriamente, II)
https://www.youtube.com/watch?v=ociMBfkDG1w (satira demenziale su “Beyoncé nera”)
Bibliografia*:
https://medium.com/@djohnson1788/where-is-kendrick-s-criticism-black-men-a04539ab955f#.kzrzvpvsa (il punto di vista definitivo)
http://janayakhan.com/2016/02/17/if-youre-dissing-the-sisters/ (un punto di vista altrettanto definitivo e un po’ più incazzato)
http://genius.com/posts/1610-How-to-listen-to-kendrick-s-backseat-freestyle (alle radici del freestyle di Kendrick)
http://radfag.com/2016/03/04/in-the-wake-of-formation-reflections-on-misogynoir-and-community-healing/ (il fenomeno “misogynoir”)
https://www.facebook.com/politicizingbeyonce/?fref=ts&__mref=message_bubble (pagina facebook dedicata al ruolo / peso politico della Knowles)
* = ringrazio, per il 99% di link e video qui elencati, la preziosa consulenza di O., direttamente dal Goldsmiths College di Londra.