Aesop Rock – Skelethon (recensione)
Aesop Rock è il mio rapper preferito dal giorno in cui misi nello stereo “Daylight” e la ascoltai per 18 volte consecutive.
Quando ci si trova a dover valutare il lavoro del proprio mito si rischia di peccare di parzialità: sia in un lato (“che bomba questo disco”, anche quando il lavoro è mediocre) che nell’altro (“che disco di merda”, magari perché adesso il tuo mito non lo ascoltate più in 20, ma in 20 mila). Con Aesop Rock tuttavia questo rischio non si corre, perché nel mondo della musica 2.0, che permette ancora a tanti artisti indipendenti (americani) di campare facendo ciò che si ama, senza uscire dalla propria nicchia, questo MC barbuto dal nome vagamente teutonico prosegue lungo un percorso di ricerca che lo ha visto diventare sempre più indipendente, portandolo ad essere il responsabile al 100% del successo o meno delle sue scelte/fatiche.
Anche adesso che il buon Aes non bazzica più quei matti della Def Jux, e si è legato a Rhymesayers (un’altra etichetta con un roster che non scherza), inizi ad ascoltarlo e ti accorgi che nonostante non ci sia quella traccia che ti fa strillare “wow!”, che anche se non cogli esattamente il suo messaggio né le parole esatte – come invece riesci a fare con gli altri MC (consiglio: non provate MAI a tradurre un testo di Aesop Rock) – non riesci a non renderti conto di quanto talento si nasconda dietro ogni singolo beat, ogni batteria e quel modo di rappare che ha soltanto lui che lo rende uno dei pochi a riuscire a cambiare l’esito di un pezzo con il flow e la musicalità che quella voce un po’ stridula riesce a generare. Uno dei pochi a farti venire la pelle d’oca in alcuni passaggi.
Avrete capito che anche stavolta le mie aspettative non sono state deluse. Ovviamente da Aesop Rock non potevo che aspettarmi un album solido, suoni ruvidi e ricercatezza del flow. “Skelethon”, pur non essendo il disco migliore di questo cantastorie visionario, è, alla pari se non di più del precedente “None Shall Pass”, un lavoro dalla qualità enormemente superiore alla media. Un lavoro di cui c’è e ci sarà sempre un estremo bisogno.
Dalle produzioni si riesce a percepire la grande ricerca sonora che ci sta alla base: si parte con “Leisureforce”, che sembra essere stata prodotta su un pianeta diverso dal nostro (tra l’altro: al minuto 00:56 si inizia ad intuire cosa intendevo quando parlavo di capacità di dare valore a un pezzo soltanto grazie alla metrica e al flow), seguita dalle chitarre di” ZZZ” Top (ma quale altro rapper è in grado di fare un pezzo come questo, diciamoci la verità) per chiudere un fantastico 1-2-3 di apertura con l’ultima strofa di “Cycles of Gehenna”, rappata su un tappeto di pianoforti senza batterie.
Il disco è appena iniziato, ci sarà il tempo per ascoltare Zero Dark Thirty, il singolo che ne aveva anticipato l’uscita; “Ruby 81”, ovvero un altro straordinario esempio delle capacità metriche di Aesop Rock (uno storytelling che racconta di un bambino che cade in una piscina e che viene salvato da un cane; anche qui nessuna cassa, nessun rullante, un beat che arriva da lontano e che aumenta sempre più di intensità e volume fino al potente incedere finale); i sample vocali di “Crows 1”; “Racing Stripes”, che contiene le strofe che più ho preferito dell’intero album; le batterie di “Saturn Missiles” e l’intima e delicata “Gopher Guts”.
La verità è che a suo modo Aesop Rock è uno degli artisti hip hop più completi dell’intero panorama musicale. Non lo si può definire un rapper, non è sufficiente. Aes è un autore, un produttore, un compositore e un inventore di canzoni straordinarie, unico al mondo. E’ uno di quei geni applicati alla musica, è più di un maestro di cerimonia; non è un intrattenitore, non è adatto a un party e non ha nulla a che vedere con l’hip hop sotto molti punti di vista. Il suo stile è poco accessibile e il suo personaggio è schivo; ma è davvero uno dei pochi MC che ho ascoltato negli ultimi anni di fronte al quale sento sempre la necessità di fermarmi a riflettere in religioso silenzio. L’unico che mi provoca difficoltà nel descriverlo, nel trasmettere con le parole un talento grande molto più di quanto lo stesso hip hop richieda. Aesop Rock è come i suoi testi; quando li leggi ti domandi cosa diavolo stia cercando di dirti, ma allo stesso tempo ne sei rapito. Aesop Rock è uno di quegli artisti del quale non sarei mai in grado di fare un “Best Of”, uno capace di prodursi un disco del genere da solo e praticamente in casa. “Skelethon” non è altro che l’ennesimo esempio di tutto questo.
Io ve l’avevo detto che ero una groupie schifosa, ma questo è quanto; adesso sta a voi.
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Robert Pagano