Contro-informazione

Acqua: un diritto negato dalle multinazionali

terra

«L’acqua potabile è un diritto umano essenziale per il pieno godimento del diritto alla vita e di tutti gli altri diritti umani». Era il 2010 quando l’Onu introdusse questa norma nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. A sei anni di distanza, tuttavia, l’umanità non ha mosso molti passi in avanti da questo punto di vista e per oltre un miliardo di persone nel mondo quello dell’acqua rimane un diritto negato. Ogni anno otto milioni di persone muoiono per malattie causate da acqua contaminata e dall’assenza di misure igieniche adeguate, tra questi un milione e mezzo di bambini. Uno ogni venti secondi.

L’acqua, lo sappiamo tutti, rappresenta un elemento al quale nessuno può rinunciare. Possiamo rinunciare a qualsiasi tipo di bene, anche al cibo per lunghi periodi, ma senza acqua nessuno può vivere. Il nostro corpo, e quello di tutte le specie animali, è composto in gran parte di acqua. Ma le risorse idriche non sono illimitate, specie considerando quelle realmente utilizzabili, non contaminate, potabili, e non troppo profonde. Nonostante questo, e in barba alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, le modalità attraverso la quale gli Stati si spartiscono le risorse idriche continuano ad essere le stesse: la legge del più forte, il furto, fino ad arrivare alla guerra vera e propria.

Era il 2500 a.C. quando Eannatum, re della città Stato di Lagash, in Mesopotamia, costruì una serie di canali irrigui che deviarono il corso del fiume e privarono delle risorse idriche la vicina Umma, non lontano dall’attuale Bagdad. Seguirono tre giorni di aspri combattimenti che terminarono con la vittoria di Lagash, celebrata dalla bellissima Stele degli avvoltoi oggi conservata al museo del Louvre di Parigi: fu la prima guerra per l’acqua di cui la storia ci abbia lasciato testimonianza. Da allora, nonostante gli oltre 4500 anni trascorsi, poco è cambiato. Le battaglie per il possesso di fiumi e canali si ripetono, mentre le dighe vengono costruite per impadronirsi dell’acqua prima che attraversi il confine divenendo proprietà del proprio vicino.

2016-05-25 11.54.31 amIndia e Bangladesh si contendono da vent’anni i diritti di utilizzo delle acque del fiume Gange. L’Egitto ha deviato le acque del Nilo contravvenendo alle leggi internazionali e mettendo ancora più in crisi i paesi africani che sono attraversati dal suo corso. La Cina ha costruito una grande diga sul fiume Mekong, accaparrandosi la maggior parte delle sue acque a discapito di Birmania, Tailandia, Laos, Cambogia e Vietnam. Mentre la Turchia, sfruttando a proprio interesse le crisi in Iraq e Siria, sta costruendo 6 dighe e 22 sbarramenti per accaparrarsi la quasi totalità delle acque dei fiumi Tigri e Eufrate, privandone i due stati vicini. Allo stesso tempo Israele continua a impossessarsi delle acque palestinesi attraverso ogni sistema possibile: dall’occupazione militare delle zone più ricche di acqua, all’approvazione di una legge che permette ai palestinesi di costruire pozzi solo se di profondità inferiore ai 180 metri, capaci di raccogliere le poche gocce lasciate dai pozzi israeliani, ben più profondi. Sono solo alcuni esempi.

L’acqua oltre ad essere il fine di molti conflitti, diventa spesso un’arma tattica per sfiancare il nemico. Valeva nel 1972, quando gli Usa bombardarono sistematicamente le dighe vietnamite e non esitarono a lasciare nella fame centinaia di migliaia di contadini pur di fiaccarne la resistenza, e vale ancora oggi se è vero che l’Ucraina sta minacciando la costruzione di una diga per negare l’acqua potabile alla Crimea e punirla così di aver scelto l’indipendenza.

Eleanore Roosevelt e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo
Eleanore Roosevelt e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo


I conflitti per l’acqua nel mondo
, da quelli tribali per il possesso di laghi e ruscelli ai grandi casi internazionali, sono 343 stando alla ricerca “Water Conflict”, aggiornata costantemente da ricercatori del Pacific Institute della California. Ma come se non bastasse tra il diritto di ogni essere umano ad avere l’acqua necessaria per la propria vita e le questioni geopolitiche è emerso negli ultimi decenni un nuovo nemico, forse ancora più pericoloso: quello rappresentato dalle privatizzazioni e dagli interessi delle multinazionali.

Dalla fine degli anni ’80 molti Paesi, a cominciare dal Regno Unito dell’era Tatcher, hanno avviato la privatizzazione delle proprie acque, garantendone l’uso ad un manipolo di società. Già a metà degli anni ’90 le imprese idriche operavano in 12 Paesi del mondo. Ma c’era ancora un “problema”: la maggioranza degli Stati si rifiutava di privatizzare le proprie risorse idriche, giudicando più razionale che rimanessero di proprietà pubblica. Così le principali multinazionali del settore crearono la Global Water Partnership (Gwp) per fare pressioni sui governi e le istituzioni internazionali e finanziando le campagne elettorali dei politici che consideravano maggiormente vicini ai propri interessi. I risultati non tardarono ad arrivare. Nel 2000 i Paesi dove le società idriche private operavano erano saliti a 100 e oggi sono più di 150, mentre si stima che oltre il 15% di tutta l’acqua del pianeta sia stata privatizzata. Quattro multinazionali gestiscono la gran parte di questo mercato: Vivendi, Suez, Nestlé e Coca-Cola, mentre il Fondo Monetario Internazionale richiede la privatizzazione del mercato dell’acqua a quei paesi in difficoltà che richiedono prestiti alla Banca Mondiale.

2016-05-25 11.56.50 amSiamo arrivati al punto in cui queste multinazionali propongono apertamente la creazione di una “borsa dell’acqua”, dove questa risorsa fondamentale per la vita sia quotata e sottoposta a speculazioni e compra-vendita di titoli come una qualsiasi merce. Laddove queste multinazionali operano è facile riscontrarne gli effetti, quotidianamente denunciati da attivisti e Ong. Nelle zone più povere del mondo le persone sono obbligate ad andare a piedi sempre più lontano alla ricerca di acqua che non sia stata privatizzata, finendo spesso a rifornirsi in riserve contaminate, e per questo non cadute sotto il controllo delle aziende private. In Ghana in questi mesi i cittadini stanno protestando perché dopo la privatizzazione le famiglie devono spendere un quarto del loro stipendio per l’acqua corrente, mentre in Brasile i comitati indigeni stanno ingaggiando una vera e propria resistenza contro le privatizzazioni.

In Europa la situazione è solo apparentemente migliore perché anche il settore idrico è considerato tra quelli che potrebbero essere posti a rischio dal trattato di libero scambio con gli Usa (il Ttip). Per scongiurare il rischio di una privatizzazione obbligatoria il Parlamento Europeo ha approvato lo scorso anno una risoluzione che chiede alla Commissione Europea di escludere l’acqua dai settori di discussione del Ttip e a salvaguardarla dalle privatizzazioni. Ma si tratta di una delibera non vincolante, in quanto la Commissione Europea non è formalmente tenuta a rispettare le delibere del Parlamento. Mentre in Italia la proprietà pubblica dell’acqua è sotto attacco già da tempo, nonostante il volere dei cittadini.

Era il giugno 2011 quando oltre 27milioni di italiani andarono alle urne per stabilire che l’acqua non doveva essere privatizzata. Il referendum rappresentò il culmine di una campagna di mobilitazione durata due anni contro la legge Ronchi, norma che stabiliva l’obbligo per tutti i Comuni italiani di procedere alla privatizzazione delle forniture d’acqua e delle reti idriche. Ma a cinque anni di distanza il voto degli italiani è stato disatteso ancora una volta. Nella gran parte delle Regioni e dei Comuni la gestione dell’acqua non è tornata in mano pubblica e i soggetti privati continuano a caricare in bolletta i rincari per assicurare un margine di profitto minimo del 7% agli azionisti.

quanta acqua per il cibo?

D’altra parte il governo Renzi, non potendo riproporre una norma bocciata dal referendum, sta comunque procedendo a rendere più difficoltosa possibile la strada verso il ritorno alla gestione pubblica dell’acqua per i Comuni. Lo “Sblocca Italia” approvato nel 2014 – è la denuncia del Comitato Acqua bene comune – «con la scusa della razionalizzazione e del controllo della spesa pubblica, incentiva le privatizzazioni dando premi ai Comuni che cedono le proprie quote delle aziende pubbliche». Mentre la legge di Stabilità impone parametri di bilancio sempre più severi ai governi comunali, i quali per non fallire hanno la sola possibilità di svendere ai privati le risorse pubbliche.

2016-05-25 11.59.56 amSecondo i fautori della privatizzazione dell’acqua rendere questo bene una merce come le altre servirebbe a garantirne un utilizzo più razionale delle riserve ed evitare gli sprechi. Peccato che gli sprechi dell’acqua siano proprio perpetrati innanzitutto dalle multinazionali. Potremmo essere portati a pensare che la maggior parte dell’acqua del mondo venga utilizzata per bere, lavarsi e irrigare gli orti. Ma non è così: a questo fine secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ne basterebbero 80 litri al giorno per ogni uomo, un fabbisogno che le riserve mondiali potrebbero garantire senza problemi a tutti i cittadini del mondo. Il problema è che il 90% dell’acqua viene utilizzata a scopi industriali per garantire metodi di produzione non sostenibili, mentre solo il restante 10% è utilizzato a scopi domestici.

Tra i settori dove l’acqua viene utilizzata per garantire la produttività di modelli di produzione insostenibili e inquinanti due sono i maggiori responsabili. Il primo è quello degli allevamenti intensivi di bestie da macello: un manzo può consumare fino a oltre 80 litri di acqua al giorno, un maiale oltre 20 litri e una mucca da latte può arrivare addirittura fino a 200 litri. A questi consumi vanno poi aggiunte le quantità di acqua utilizzate per la pulizia degli allevamenti e per i sistemi di raffreddamento dei rifiuti organici. Il risultato complessivo ci porta al fatto che quasi il 25% del totale delle risorse idriche utilizzate ogni anno nel mondo servono per gli allevamenti di carne. Il secondo è invece quello della produzione di energie fossili, basti pensare che un impianto a carbone consuma 37 miliardi di metri cubi d’acqua al secondo e l’intera produzione mondiale di carbone consuma l’acqua che basterebbe per un miliardo di persone; ma anche la produzione di petrolio fa la sua parte: per estrarre e raffinare un litro di oro nero servono da 8 a 50 litri di acqua a secondo delle tecniche utilizzate.

acqua

Se vogliamo che l’acqua sia sufficiente per tutti gli abitanti del pianeta non serve privatizzarla né fare le guerre per garantirsene il controllo, servirebbe semplicemente cambiare i metodi di produzione industriale e abbandonare le fonti fossili.



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