Abbiamo un problema con i cinghiali
Quando di parla di riscaldamento globale, difficilmente si pensa ai cinghiali, ma un nuovo studio, portato avanti da un team di studiosi statunitensi, australiani e neozelandesi, ha rivelato il peculiare ruolo di questi suini sull’aumento delle temperature a livello globale.
“Unrecognized threat to global soil carbon by a widespread invasive species”, questo il nome della ricerca, indaga sugli effetti dell’introduzione di cinghiali e maiali in aree del pianeta dove questi non sono autoctoni, e rivela come le abitudini alimentari di questi animali producano circa 5 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, pari alle emissioni annuali di 1,1 milioni di auto.
Ma qual è il nesso tra la dieta dei cinghiali e il rilascio di CO2? I suini si nutrono arando il suolo circostante con il proprio muso, attività che fa sì che il terreno rilasci diossido di carbonio, presente nel sottosuolo in quantità tre volte superiore rispetto a quello presente nell’atmosfera. Un processo che rischia di accelerare l’avanzamento del riscaldamento globale in maniera sostanziale. Una volta scavato il terreno, infatti, la materia presente sottoterra, venendo esposta a un ambiente ricco di ossigeno, va incontro al processo di decomposizione, che genera una preoccupante quantità di CO2, risultato di un fenomeno la cui portata, per anni, è stata essenzialmente ignorata dagli studiosi.
Bisogna poi tenere in considerazione il massiccio fenomeno di introduzione di maiali e cinghiali in zone del mondo dove questi non sono specie autoctona, evento che ha contribuito all’esponenziale aumento del numero di questi animali, ma, soprattutto, dell’area in cui questi operano. “I nostri modelli mostrano un’ampia gamma di risultati, ma indicano che i cinghiali stanno probabilmente arando un’area di circa 36.000 – 124.000 chilometri quadrati (ogni anno), in ambienti in cui non sono autoctoni. Si tratta di un’enorme quantità di territorio e questo non riguarda solo la salute del suolo e le emissioni di carbonio, ma minaccia anche la biodiversità e la sicurezza alimentare che sono fondamentali per lo sviluppo sostenibile” ha affermato Christopher O’Bryan, ricercatore dell’Università del Queensland, specificando come le modalità di nutrizione dei suini non autoctoni abbiano i medesimi effetti dell’aratura dei campi svolta dall’uomo.
Ulteriore fattore da considerare è l’alto tasso di fertilità delle due specie di suini, specialmente dei maiali. Il problema è particolarmente rilevante con riferimento al Nordamerica, dove il tasso di crescita della popolazione di maiali e cinghiali annuale si attesta intorno al 21%.
L’introduzione di maiali e cinghiali, specie originarie di Europa e Asia, in aree del mondo dove questi non erano precedentemente presenti ha inoltre importanti ripercussioni sui delicati ecosistemi locali, fenomeno che minaccia specialmente i paesi ad alta biodiversità, costretti ad adottare misure drastiche per l’eliminazione delle specie invasive. Stati come la Nuova Zelanda, paese caratterizzato da un alto numero di specie di animali e piante autoctone, e lo stato federale del Texas, negli Stati Uniti d’America, prevedono la caccia a cinghiali e maiali rinselvatichiti per tutta la durata dell’anno, e in Australia la caccia dei suini, considerati “pest”, animali nocivi per l’agricoltura e per le specie locali, viene fortemente incoraggiata per tenerne sotto controllo la popolazione.