A Milano fino ad Aprile
È la più grande retrospettiva su Mapplethorpe mai allestita in Italia, ancora più esaustiva dello splendido allestimento al Museo Pecci di Prato nel 1993-1994. Centosettantotto scatti originali, tra cui le prime rare opere scattate con una Polaroid negli anni ’70, in mostra fino al 9 aprile 2012 presso la Fondazione Forma di Milano in piazza Tito Lucrezio Caro.
L’esposizione s’intitola semplicemente “Robert Mapplethorpe” e rappresenta la summa dell’opera di uno dei più importanti fotografi del ventesimo secolo, creatore di austeri scatti dalla perfetta armonia di forme e luci, classicista e innovatore al tempo stesso, sdoganatore del nudo apollineo soprattutto maschile d’ispirazione rinascimentale, esegeta della New York pop di Andy Warhol e della sua musa Patti Smith attraverso rigorosi (auto)ritratti divenuti celeberrimi. Nonché il primo artista a far arrivare al grande pubblico – non senza polemiche – la sottocultura gay delle pratiche fetish e sadomaso (“Bondage” del 1974, “Elliot and Dominick” cinque anni dopo) e persino anticipatore della teoria gender nel ritrarre la body builder Lisa Lyon esaltandone le sinuose forme androgine. ”Se fossi nato cento o duecento anni fa, avrei potuto fare lo scultore” diceva Mapplethorpe. “Ma la fotografia è un mezzo molto veloce per vedere e per fare scultura”.
Come spiega il grande teorico queer Richard Mayer, osservando l’opera di Mapplethorpe più esplicitamente sadomaso, “siamo invitati a ignorare la produzione materiale dell’immagine (la presenza del fotografo, l’illuminazione della scena, gli abiti dei modelli) per poter provare maggiormente piacere nel suo contenuto erotico. Oltre alla caratterizzazione di dominazione e sottomissione sessuale, il fotografo non offre soggettività o un’identità particolare ai modelli maschili che raffigura”. Ma visitando la mostra milanese sarà possibile ammirare anche i meno noti ritratti di bambini, delicatissimi e malinconici, a cui fanno da naturale contraltare espressivo gli splendidi fiori in primo piano (calli, orchidee, tulipani) di cui viene esaltata la perfezione quasi aristocratica delle forme.
“Spesso l’arte contemporanea mi mette in crisi perché la trovo imperfetta” sosteneva Mapplethorpe. “Per essere perfetta non è che debba essere giusta dal punto di vista anatomico. Un ritratto di Picasso è perfetto. Non c’è niente di contestabile. Nelle mie fotografie migliori non c’è niente di contestabile. Così è. È quello che cerco di ottenere”.