Marco Pannella: “L’odio è degli stronzi”
In queste ultime settimane è stata prodotta una mole di documentazioni, testimonianze, approfondimenti che mai Pannella ed il suo Partito Radicale hanno potuto godere nei decenni precedenti e pertanto, chiunque fosse interessato ad approfondire la storia e le battaglie dello “scandalo inintegrabile” che fu Marco Pannella, definizione di Pier Paolo Pasolini o del più antico partito italiano, il Partito Radicale, descritto da Emma Bonino come “una adunata di refrattari, di trasgressori, di non pentiti”, ha solo l’imbarazzo della scelta.
Ho iniziato a seguire il Partito Radicale tanti anni fa, quando da liceale leggevo con empatia ed apprensione sul settimanale di resistenza umana “Cuore” i comunicati stampa della Lega degli Obiettori di Coscienza, federata al Partito Radicale. Giovane studente terrorizzato dall’idea di andare, finiti gli studi, un anno a “servire il mio Paese” con la leva obbligatoria, ammiravo quegli attivisti ed i miei coetanei obiettori totali e disertori che venivano processati, incarcerati nelle prigioni militari, digiunando ed esponendo il proprio corpo e la loro vita per un principio umano ancora da conquistare. Poi una frase di Marco Pannella mi ha colpito ed è scattato quel richiamo grazie al quale mi sento intimamente radicale: «Noi siamo diventati Radicali perché ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente, e quindi una sete alternativa profonda, più dura, più “radicale” di altri». In un Paese come il nostro, fatto di tifosi e gregari, forse è difficile da comprendere. Chi si è avvicinato al Partito Radicale e a Marco Pannella l’ha fatto partendo dal proprio vissuto personale, spesso dai propri drammi esistenziali. È il partito che riusciva a dare dignità pubblica ad una condizione, a volte un dramma privato. Provate a pensare al dramma individuale di una donna che vorrebbe abortire in un Paese in cui l’aborto è illegale; a chi tossicomane, anziché essere aiutato, viene sbattuto in prigione; a chi omosessuale non ha alcun diritto riconosciuto e l’elenco potrebbe andare avanti. Adriano Sofri ha ben definito tutto questo, il dare rilevanza politica al privato, alla notte. «Prima di Pannella, uomo da marciapiede, alla politica mancava la notte. La notte è affare di puttane e di ladri, di froci e di spacciatori, di tradimenti e di rivelazioni. Stanze d’ospedale illuminate da lucine di macchinari e lamenti inascoltati, celle di galere illividite da luci al neon e gridi disperati. La notte degli amori e dei dolori: la politica se ne teneva alla larga come un impiegato dal suo sportello, dopo aver timbrato il cartellino d’uscita. Marco Pannella rivendicava la notte, i letti, le febbri, i sudori e gli umori, la paura».
Ho due ricordi che hanno cementato il mio affetto verso Marco Pannella ed il Partito Radicale. Parlamento Europeo di Bruxelles, dicembre 2007. Partecipavo ad un convegno sulla rivoluzione non violenta e federalista contro il risorgere dei nazionalismi. Arrivò ad inizio mattinata un commesso che consegnò a Pannella un biglietto. Scosso, interruppe il relatore e, piangendo, comunicò all’assemblea che Makwan Moloudradeh, 21enne condannato a morte per omosessualità dal regime iraniano su cui anche i Radicali stavano cercando di intervenire mobilitando l’opinione pubblica mondiale, era stato impiccato quella notte. Quella commozione così umana e vera resterà per me una triste ed indelebile testimonianza delle qualità umane di Pannella.
Roma, giugno 2011. Carro dei Radicali al Gay Pride. Il bello di quel carro, rispetto a tutti gli altri, era l’eterogeneità dei presenti: etero, gay, senatori, uomini, donne, giovani, anziani, fumatori di chiloom, dj, gente in giacca e cravatta vicino ad altri a petto nudo. Non una adesione di facciata o per “partito preso” ma un’intima adesione personale prima che politica. Rimasi stupefatto da quante persone durante la sfilata, riconoscendo Pannella, si avvicinassero o addirittura si arrampicassero sulla fiancata per stringergli la mano e dire semplicemente: “Grazie”. Erano ringraziamenti profondi, carichi di gratitudine e affetto.
Non ho scritto di antiproibizionismo, battaglia che Pannella ha portato avanti, spesso in solitudine, dal 1975; non ho scritto di uno stranissimo partito senza alcuna ideologia a giustificarne l’esistenza, minoritario alle elezioni e che è riuscito a muovere maggioranze; non ho scritto della prassi radicale così fuori moda oggi; della non violenza praticata contro il pacifismo sbandierato; del rifiuto verso ogni vitalizio o finanziamento pubblico.
«Io amo invece gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione.[..] Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello Stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se “rivoluzionario”.[..] Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia d’occuparlo [..]». Marco Pannella, Underground a pugno chiuso.